A Capo Miseno, sulla sommità del promontorio che segna il confine settentrionale del Golfo di Pozzuoli, crescono naturalmente, sempre prodighi di fiori a primavera.
Sono gli asfodeli, le piante caratteristiche degli Inferi, secondo la mitologia greca e romana. E infatti i Greci li piantavano sulle tombe e nelle necropoli. Ciò che rende stupefacente la loro presenza, del tutto spontanea, nel punto più avanzato della costa flegrea. In quel luogo, infatti, il mito legato al sesto canto dell’Eneide colloca la sepoltura da parte di Enea del trombettiere Miseno.
Proprio l’abilità nel suonare lo aveva perduto, durante la navigazione con Enea e gli altri esuli troiani verso il Lazio. Miseno, figlio di Eolo dio dei venti, aveva osato vantarsi di suonare meglio di chiunque altro. Irato, un Tritone, figlio del dio Posidone, suonando la conchiglia, aveva suscitato una improvvisa tromba marina, scaraventando Miseno tra i flutti, dov’era annegato. Il corpo senza vita era stato poi deposto dalle onde sulla spiaggia di Miliscola e là Enea lo aveva recuperato, dandogli degna sepoltura, come suggerito dalla Sibilla Cumana. Con un remo, le sue armi e la tromba, lo aveva deposto sotto un grande tumolo di pietra, il promontorio che da allora ha preso il suo nome: Capo Miseno.
Dietro la baia di Miseno, dove annegò il troiano, si estende per una quarantina di ettari l’omonimo lago, che una striscia sabbiosa separa dal mare. Nel I secolo d.C. i Romani utilizzarono la baia di Misenum come porto per la flotta imperiale nel Tirreno, mentre il lago retrostante, a cui era collegato, veniva utilizzato come cantiere per le navi da allestire o riparare.
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