Settanta castelli delle più diverse epoche e con le più varie caratteristiche. Rovine illustri e cariche di suggestioni che connotano la terra irpina e contribuiscono al suo fascino.
E anche Avellino ha il suo castello, ridotto a poche mura, che tuttavia hanno tante storie e tanta storia da raccontare. E, infatti, è da tempo che si sta portando avanti un delicato e complicato restauro ricostruttivo, nell’intento di recuperare il possibile di un prezioso luogo della memoria per la città. Di quella condivide la difficile ricostruzione delle origini, anche dal punto di vista cronologico, per l’oscurità che ancora avvolge la fondazione della nuova Abellinum rispetto a quella originaria, dove sorge oggi Atripalda.
Ha una particolarità unica in Irpinia, e non solo, il castello di Avellino. Non sorge su un’altura, in una posizione strategica capace di offrire un’ampia visione a 360 gradi sul territorio circostante, ma nella parte più bassa, perfino infossata, della città, tra il fiume Fenestrelle e il Rio San Francesco oggi tombato. Una collocazione forse obbligata, che alcuni storici hanno interpretato come la prova che il castello sarebbe stato costruito per difendere l’insediamento già presente allora sulla collina “Terra”. Il Castello risalirebbe comunque al periodo longobardo, probabilmente al VI secolo, ma altri storici pospongono la costruzione all’VIII e anche al X secolo. Oltre che struttura militare, fu fin dall’inizio anche la residenza dei gastaldi e dei feudatari della città.
Il 27 settembre 1130 l’antipapa Anacleto II incoronò Ruggiero il Normanno re di Puglia e di Sicilia. Contrari a questa investitura, il papa Innocenzo II e l’imperatorio Lotario rimasero per un mese nel castello per venire a capo della questione, finché non riuscirono a privare Ruggiero del titolo sulla Puglia per trasferirlo a Rainulfo, l’allora conte di Avellino. In risposta, Ruggiero attaccò il castello nel 1137, mettendolo letteralmente a ferro e fuoco.
La fortezza accolse alcuni imperatori, come Lotario I e Enrico VI, e vari sovrani angioini e aragonesi. Nel 1436, Alfonso I d’Aragona la cinse d’assedio, ma poi provvide anche a rinnovarla. Un momento di vero splendore arrivò quando Maria de Cardona ereditò il feudo nel 1513. Donna bella, ricca e molto colta, la contessa diede grande impulso alle attività commerciali ed economiche della città, che in quel periodo conobbe un notevole incremento demografico. E non trascurò di abbellire il castello, dove aveva la sua residenza. E dove ospitava il fior fiore della cultura del suo tempo. Si incontravano nel castello personalità come Bernardo Tasso, Luigi Tansillo, Garcilaso de la Vega, Gutierrez de Cetina.
Nel Seicento, abbattute le torri e le merlature e modificata la struttura tipicamente militare, il castello fu adattato alla sua ormai prevalente funzione residenziale. I nuovi feudatari di Avellino, i principi Caracciolo, vi fissarono la loro residenza e nel 1615, Camillo Caracciolo utilizzò un terreno attiguo per farne un magnifico giardino ricco di piante, con un piccolo lago. Sotto Marino II Caracciolo, dal 1617 al 1630, Avellino conobbe il suo periodo d’oro, ma il castello, in evidente decadenza e considerato non più all’altezza della residenza di famiglia, fu abbandonato a favore del nuovo Palazzo Caracciolo. Da quel momento cominciò l’inesorabile degrado. Fu poi demolito a inizio Settecento, durante la guerra di successione spagnola. Perciò il terremoto del 1980 non provocò danni alla struttura, che era già diruta. Ma le mura rimaste in piedi hanno ispirato da allora vari progetti e interventi, ancora in corso, per la ricostruzione.
Nel 1620, il principe Marino II Caracciolo vi aveva fondato l’Accademia dei Dogliosi, di cui hanno fatto parte illustri letterati come Giovan Battista Basile. L’antica accademia ancora esiste e si occupa di eventi culturali, di pubblicazioni artistiche e di restauri.
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