A pochi passi dagli scavi archeologici dell’antica Herculaneum sorge il MAV, un centro di cultura e di tecnologia applicata ai Beni Culturali e alla comunicazione, tra i più all’avanguardia in Italia.
Al suo interno si trova uno spazio museale unico e straordinario: un percorso virtuale e interattivo dove vivere l’emozione di un sorprendente viaggio a ritroso nel tempo fino a un attimo prima che l’eruzione pliniana del 79 d.C. distruggesse le città romane di Pompei ed Ercolano.
Oltre settanta installazioni multimediali restituiscono vita e splendore alle principali aree archeologiche di Pompei, Ercolano, Baia, Stabia e Capri.
Attraverso ricostruzioni scenografiche, interfacce visuali e ologrammi, il visitatore è condotto in una dimensione virtuale, dove sperimentare in modo ludico ed interattivo le nuove opportunità che la tecnologia multimediale offre alla fruizione del patrimonio archeologico.
Il MAV è un luogo didattico e conoscitivo, dove il reale e l’immaginario si incontrano per dare vita a nuove modalità di apprendimento e di intrattenimento.
Il museo sorge in una un’area di 5.000 m.q. su 3 livelli, ubicato nel cuore di Ercolano in prossimità delle principali attrattive turistiche della città: gli scavi archeologici, il famoso mercato vintage di Resina, il Parco Nazionale del Vesuvio e il Miglio d’Oro, il tratto di costa ai piedi del vulcano, lungo il quale sorgono le splendide ville settecentesche, pregevoli esempi del barocco napoletano.
LE INSTALLAZIONI:
I VOLTI
Ercolano sorgeva ai piedi del Vesuvio su un pianoro a strapiombo sul mare costeggiato da due torrenti. Negli anni precedenti l’eruzione, i suoi quattromila abitanti erano dediti in prevalenza alla pesca.
Ad Ercolano, però, veniva svolto anche il piccolo commercio e qualche modesta attività speculativa, come locazioni e piccoli prestiti.
Secondo il mito, Ercole fondò Ercolano mentre portava a termine la decima delle dodici fatiche che lo dovevano rendere immortale. La tradizione letteraria antica racconta, invece, che Ercolano fu inizialmente una cittadina dominata dagli Osci, passata poi sotto il controllo degli Etruschi e dei Sanniti.
Nel III secolo a.C. entrò a far parte della confederazione nucerina, ma nell’ 89 a.C. perse l’indipendenza diventando un municipio romano.
LA PITTURA POMPEIANA
Sotto il termine pittura pompeiana si riassume tutta la pittura parietale presente nelle case di Pompei del periodo compreso tra la fine del II secolo a.C. e il 79 d.C. le opere murali pompeiane venivano eseguite a fresco, a tempera e ad encausto.
La pittura a fresco veniva eseguita su intonaco di calce fresca con colori macinati e diluiti in acqua. La pittura a tempera veniva eseguita diluendo i colori in solventi collosi e gommosi, con il rosso d’uovo e la cera. La pittura ad encausto, invece, la si otteneva con colori miscelati con la cera.
Il primo stile pompeiano è detto stile strutturale o dell’incrostazione e si colloca nel periodo a partire dall’età sannitica (150 a.C.) fino all’80 a.C. questa tecnica pittorica, diffusa sia negli edifici pubblici che nelle abitazioni, imita, utilizzando in alcuni casi anche elementi in stucco a rilievo, il rivestimento delle pareti in opus quadratum e con lastre di marmo, detto crusta, da cui il nome “stile dell’incrostazione”. Le pitture in primo stile si articolano, seguendo una ripetizione fissa, in tre zone: una fascia superiore decorata con cornici in stucco aggettante, una fascia mediana, a sua volta tripartita, dipinta con i colori predominanti rosso e nero, ma anche viola, giallo-verdi, imitanti il marmo, il granito o l’alabastro, un plinto o zoccolo, di solito di colore giallo.
Le pitture di questo stile contengono anche piccoli elementi architettonici, come ad esempio pilastri per la divisione verticale delle superfici. Negli scavi archeologici di Pompei questo stile è presente nella basilica, nel tempio di Giove, nella casa del fauno e nella casa di Sallustio, in quelli di Ercolano nella casa sannita.
Il secondo stile pompeiano, o stile architettonico, si colloca nel periodo che va dall’80 a.C. alla fine del I secolo a.C. In questo tipo di pittura elementi come cornici e fregi con tralci vegetali cominciano ad essere dipinti invece che realizzati in stucco. Rispetto al primo stile, l’innovazione è fornita dall’effetto di trompe l’œil che si crea sulle pareti, dove al posto dello zoccolo si dipingono in primo piano podi con finti colonnati, edicole e porte dietro i quali si aprono vedute prospettiche. A Pompei questo stile è presente nella villa dei misteri e nelle case di Obellio Firmo, del labirinto, delle nozze d’argento, del criptoportico.
Il terzo stile pompeiano o stile ornamentale, dal punto di vista cronologico, si sovrappose al secondo stile ed arrivò fino alla metà del I secolo d.C., all’epoca di Claudio (41-54). In esso venne completamente ribaltata la prospetticità e la tridimensionalità caratteristiche dello stile precedente lasciando il posto a strutture piatte con campiture monocrome, prevalentemente scure, assimilabili a tendaggi e tappezzerie, al centro delle quali venivano dipinti a tinte chiare piccoli pannelli (pinakes) raffiguranti scene di vario genere. Negli scavi archeologici di Pompei pannelli dipinti in questo stile si trovano inseriti nel muro della sala da pranzo della villa della porta marina e nella casa di Lucrezio Frontone. Altri esempi di questo genere si trovano nella villa imperiale a Pompei e, a Boscotrecase, in quella di Agrippa Postumo. Il terzo stile diede poi spazio all’ultimo stile, il quarto stile, detto anche ultimo stile.
Il quarto stile pompeiano o dell’illusionismo prospettico si afferma in età neroniana e si distingue dagli altri per l’inserimento di architetture fantastiche e di grande scenicità (casa dei Vettii a Pompei e Domus Aurea a Roma). Gran parte delle ville pompeiane furono decorate con pitture in questo stile dopo la ricostruzione della città a seguito del disastroso terremoto del 62, che provocò ingenti danni in città. Il quarto stile si caratterizza per un revival di elementi e formule decorative già sperimentate in precedenza: tornano di moda le imitazioni dei rivestimenti marmorei, le finte architetture e i trompe-l’oeil caratteristici del secondo stile ma anche le ornamentazioni con candelabri, figure alate, tralci vegetali, caratteristici del terzo stile.
Esempi pompeiani di grande pregio li ritroviamo nella casa dei Vettii e nella casa dei dioscuri, decorati probabilmente da artisti della stessa bottega. Altro esempio di quarto stile lo si ritrova, sempre a Pompei, nella casa di Menandro, nel cui atrio sono presenti pregevoli quadretti con episodi della guerra di Troia; uno dei più rappresentativi è quello che raffigura l’incontro di Priamo, Menelao ed Elena nella reggia, mentre Aiace insegue Cassandra che cerca inutilmente difesa presso il palladio.
LA BARCA DI ERCOLANO
L’antica barca fu ritrovata il 3 agosto 1982 grazie all’intuizione di Giuseppe Maggi all’epoca Direttore degli Scavi di Ercolano. E’ custodita presso gli Scavi Archeologici di Ercolano nel padiglione dedicato ai reperti archeologici testimonianze di attività marinare. Il lavoro di restauro, molto complesso, è durato circa due anni. Il ritrovamento avvenne nella zona davanti alle Terme Suburbane dove emerse la chiglia di una barca rovesciata dalla furia dell’eruzione.
Lo scafo era stato sepolto dai flussi piroclastici rimanendo sigillato nella coltre di materiali vulcanici che siindurì rapidamente garantendo, con la mancanza di ossigeno, la conservazione dei legni. Lunga oltre 9 m, con una larghezza massima di circa 2,20 m e un’altezza massima di circa 1 m dalla chiglia al bordo, la barca ha una linea che ricorda quella di un grosso gozzo marinaro moderno. Prevedeva la presenza di tre scalmi per lato e poteva quindi essere mossa da tre coppie di remi.
Era dotata di un timone esterno a remo che era bloccato alla barca da una cima, che è stata rinvenuta durante lo scavo, insieme a una serie di reperti archeologici testimonianze di attività marinare degli ercolanesi. Fra questi la punta di una prua miracolosamente non bruciata al punto che si possono vedere tracce del colore con cui era stata dipinta: rosso cinabro.
IL FORO
Il foro era la piazza centrale di Pompei, interdetta al passaggio dei carri, ed era il luogo dove si concentravano le attività civili, commerciali, religiose e l’amministrazione politica della città.
Tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. furono apportate delle modifiche e delle rivisitazioni strutturali: dall’antica forma irregolare fu ricostruito a forma rettangolare, fu rifatta la pavimentazione, prima in tufo e poi in marmo travertino. Sul perimetro delimitato da colonnati si affacciavano edifici di ogni tipo: botteghe e taverne, nel rispetto della sua funzione pubblica.
Rappresentava lo snodo delle principali strade e su di esso si affacciavano gli edifici più importanti, il Comitium (dove si tenevano le elezioni municipali), la Basilica (dove avvenivano incontri di tipo legale e amministrativo), il tempio di Apollo e il Tempio di Giove, luoghi di culto religioso.
Un lungo colonnato di portici si sviluppava sui tre lati, lasciando libera allo sguardo la visione del lato breve a nord, dove c’era il tempio di Giove. Sulla lunghezza della piazza diversi basamenti erano utilizzati per sculture di imperatori e personaggi influenti della città: uno tra questi, il Suggestum, era utilizzato come tribuna dei comizi.
TEATRO DI ERCOLANO
Trecento anni fa il teatro fu il primo edificio dell’antica Ercolano ad essere individuato durante lo scavo di un pozzo per la captazione dell’acqua. Infatti nel 1710 il contadino Ambrogio Nocerino capitò con il suo scavo proprio sulla scena del teatro, dalla quale asportò marmi e statue.
Questa data segna anche la riscoperta dell’antica Herculaneum, distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e la cui esplorazione sistematica iniziò nel 1738, per volere di Carlo di Borbone, proprio a partire da questo edificio. Il teatro fu costruito in età augustea e conosciamo anche il nome dell’architetto che lo progettò: P. Numisius.
L’edificio, uno dei teatri meglio conservati della civiltà romana, fu esplorato per cunicoli durante gli scavi borbonici e ancora oggi giace sepolto sotto una coltre vulcanica di oltre 20 metri, al di sopra della quale sono stati edificati alcuni palazzi. Esso è costituito da un emiciclo di oltre 50 m., diviso verticalmente in tre settori (summa, media ed ima cavea), in cui potevano trovare posto circa 2.500 persone.
Alle spalle del teatro si trovava un porticato colonnato nel quale il pubblico poteva intrattenersi durante gli intervalli delle rappresentazioni.
LE TERME CENTRALI
Le terme risalgono all’età augustea, ed erano composte da due parti, una riservata agli uomini e l’altra alle donne.
Il complesso delle terme centrali aveva una fondamentale funzione pubblica, perché rispondeva all’esigenza del popolo di lavarsi in maniera accurata essendo l’acqua corrente un privilegio di pochi. Agli impianti infatti vi accedevano persone di ogni ceto sociale, in orari differenti e ad un costo molto basso, sostenibile dalla maggior parte dei cittadini.
Le terme svolgevano anche un’importante funzione sociale: qui si discuteva di affari o si incontravano gli amici, si praticava ginnastica e si sollevava lo spirito e il corpo dal lavoro quotidiano. La struttura delle terme prevedeva uno spogliatoio sia per gli uomini che per le donne, la palestra o la piscina, a seguire il calidarium, una vasca con acqua molto calda, il tiepidarium ed infine il frigidarium, vasche d’acqua fredda che completavano il percorso.
Gli ambienti maschili e femminili differivano nella grandezza e nella funzionalità degli spazi. Al giardino in cui venivano eseguiti esercizi ginnici della sezione maschile, era sostituito per le donne una sorta di cortile con panche in muratura lungo le pareti per favorirne l’incontro e la convivialità.
Le vasche e i luoghi di passaggio erano tutti decorati con mosaici pavimentali i cui motivi prevalenti erano marini o geometrici.
IL TEMPIO DI GIOVE
Tempio di epoca romana, sepolto durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell’antica Pompei. Il tempio di Giove fu costruito intorno al 250 a.C. ed era originariamente dedicato a Giove e divenne ben presto la principale struttura sacra di Pompei.
A seguito della conquista della città da parte di Lucio Cornelio Silla, il tempio fu dedicato al culto della Triade Capitolina, per questo chiamato Capitolium e quindi, oltre alla venerazione di Giove, si aggiunsero anche quella di Giunone e Marte.
Il tempio di Giove, situato nella parte nord del foro, di tipo italico, presenta un alto podio, realizzato con inserti in lava e tufo, decorato con semicolonne e vuoto al suo interno, con ingresso lungo il lato est: questa zona è divise in tre navate, con volta a botte e le mura in opera incerta; i tre vani, chiamati favissa, venivano utilizzati o come depositi o come custodia per il tesoro della città.
La gradinata che introduce al tempio ha una forma particolare: si tratta di due fila di scale, entrambe convergenti su di un pianerottolo e da qui una scala più ampia che conduce all’altare; ai lati di queste gradinate erano poste due statue equestri, come riprodotto in un affresco della casa di Lucio Cecilio Giocondo.
SCHOLA ARMATURARUM
La Schola Armaturarum era stata portata alla luce da Vittorio Spinazzola nel 1915, durante i lavori di ripristino della suggestiva Via dell’Abbondanza, dove l’edificio era situato. Nel 1946, a seguito dei danni riportati dai bombardamenti, l’archeologo Amedeo Maiuri intervenne creando una cortina di cemento armato che ha protetto l’edificio fino al crollo del 6 novembre del 2010.
La schola era la sede di un’associazione di stampo militare dove i giovani pompeiani si allenavano alle armi e all’arte gladiatoria. La struttura architettonica dell’edificio e le caratteristiche interne della schola fanno dedurre che fosse anche usata come deposito di armi: furono rinvenute infatti durante gli scavi scaffalature di antichi armadi in cui erano deposte le armature, gli elmi e gli scudi usati negli allenamenti.
CASA DEL POETA TRAGICO
Sebbene di ridotte dimensioni, questa casa è una delle più eleganti e riccamente decorate di Pompei. Domus di tipo italico, cioè con vani più importanti lungo il medesimo asse, dotata di atrio tuscanico. L’edificio è situato nella Regio VI al limite settentrionale della città appartenente probabilmente ad un certo Anino membro di una delle famiglie della nuova classe senatoria emergente a Pompei.
Costruita nel II a.c, ma la decorazione venne interamente rifatta dopo il sisma del 62 d. c. Deve il suo nome alla decorazione musiva raffigurante la Prova teatrale di un coro satiresco, rinvenuta nella casa ed oggi conservata al Museo Archeologico di Napoli.
Oggi sono ancora visibili le decorazioni dell’oeucus (salottino), con Arianna abbandonata da Teseo, e dell’ingresso con il mosaico raffigurante un cane accompagnato dalla scritta “Cave Canem” (attenti al cane), tipico di molte abitazioni pompeiane: l’avvertimento è ricordato anche nelle fonti letterarie, come nel gustoso episodio del Satyricôn di Petronio, in cui il protagonista viene spaventato a morte dal grande cane dipinto.
L’atrio era decorato con grandi pitture parietali di soggetto mitologico, tra cui Zeus ed Hera, Achille e Briseide, di particolare pregio compositivo. Intorno si disponevano i cubicoli (le stanze da letto) e le alae (stanze ai lati dell’atrio), anche essi ben decorati.
ll peristilio (il giardino interno), ha un portichetto su tre lati, ove era un’altra celebre pittura, quella col sacrificio di Ifigenia derivata da un quadro del pittore Timante, vissuto nel V-IV secolo a.c. ed un larario nel fondo.
Dal portico si accede in tre ambienti tra cui una sala tricliniare (per il pranzo) decorata con pitture di quarto stile con altri soggetti mitici (Venere e Amorini, Arianna abbandonata da Teseo, Diana).
CASA DEL FAUNO - La casa del Fauno è la più importante dimora signorile di epoca romana pervenutaci e la sua grandiosità ci restituisce la misura della straordinaria ricchezza della classe nobile romana del II sec d. C. La sua estensione era di circa tremila metri, fu costruita con avanzate tecniche edilizie nel 120 a.C.
Non se ne conosce il nome del proprietario, e la sua denominazione è dovuta alla statua di bronzo raffigurante un fauno danzante posto al centro dell’impluvium della dimora. Lo stile della casa del Fauno conserva le tracce di quello Sannitico, l’originario, nonostante interventi successivi denuncino il sovrapporsi delle tracce stilistiche più sfarzose che si imposero a Pompei.
La dimora si apre con un grande atrio decorato con grandi lastroni e un finto colonnato ionico. Al centro dell’impluvium, nell’ampio atrio, spicca la statuetta del fauno. Da qui era possibile seguire con un unico sguardo prospettico l’evolversi della casa padronale: il tablino, la grande sala da pranzo destinata al ricevimento degli ospiti e ai pranzi di famiglia, il primo giardino, l’esedra del mosaico, il secondo giardino ed infine il muro di recinzione.
Lateralmente all’atrio o intorno ad esso, si sviluppano le stanze della servitù e piccole botteghe il cui accesso era garantito da un ingresso alternativo a quello centrale, così da tutelare la riservatezza degli abitanti della casa.
CASA DEL CITARISTA - La casa ebbe origine dalla fusione di due case nel I sec. a.C. per cui ha due atri e tre peristili con una superficie totale di 2700 mq. La parte più antica è quella inferiore, che si affaccia su via Stabiana, con atrio tuscanico e due peristili aggiunti in sostituzione di case abbattute.
La casa fu denominata “del Citarista” in seguito al rinvenimento di una statua bronzea di Apollo citarista e che era collocata nel peristilio (oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli insieme a sette grandi quadri). Gli abitanti della casa erano esponenti del ramo di origine servile di una delle più cospicue e antiche famiglie di Pompei: quella dei Popidii.
Nell’ala sinistra dell’atrio vennero trovati due ritratti in bronzo del padrone di casa e della moglie; un altro ritratto femminile, di marmo, era nel peristilio; i due ritratti maschili di marmo rinvenuti al piano superiore raffigurano probabilmente di Marcello (patrono della colonia) e qualche altro personaggio di rango legato alla casa imperiale.
I ritratti dovevano evidenziare il lealismo dei Popidii e i loro legami con la corte.
L’edificio apparterrebbe a membri del ramo d’origine servile della famiglia dei Popidii, cui si riferiscono 3 graffiti e 2 scritte elettorali sulla casa, 45 programmi sulla loro candidatura lungo via dell’Abbondanza e ritratti rinvenuti nell’abitazione. Le stanze di rappresentanza e riposo si sviluppano intorno ai peristili, quelle per i servi sull’atrio, senza tablino; vi sono ambienti termali e, nel peristilio centrale, belle sculture di animali in bronzo funzionavano da getti d’acqua. Panificio, pasticceria e taverna connesse all’edificio sono forse dipendenze del complesso residenziale.
Animali di bronzo, collocati sull’orlo della vasca di marmo producevano salienti getti d’acqua, tra questi vi era il noto gruppo del cinghiale addentato da due cani da caccia, oltre a un leone galoppante, un cervo in fuga e un serpente, tutti esposti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
CASA DEL LABIRINTO
La casa è una domus di Pompei, datata in gran parte al periodo repubblicano. La casa è situata nella Regio VI, Insula 11, 9.10 e prende il suo nome dalla presneza di un mosaico raffigurante il labirinto e la lotta tra Teseo e il Minotauro. Questa casa rientra nello schema tipo della casa a “atrio”.
Questo schema, influenzato dal mondo ellenistico, subì un processo di trasformazione con l’aggiunta del peristilio (porticato colonnato che delimita il giardino) sul quale si affacciavano numerosi ambienti di rappresentanza destinati alla consumazione dei pasti. Con questo inserimento si assiste ad una trasformazione della vita domestica perché si viene a creare un nuovo centro gravitazionale.
Questo tipo di costruzione nella sua forma più completa è espressione dell’aristocrazia pompeiana. Tra i numerosi ambienti collocati nel peristilio ci sono i oeci, nuovi spazi di soggiorno da offrire all’ammirazione degli ospiti. Ha due atri, uno con quattro colonne e l’altro senza.
La domus è riccamente decorata con un mosaico e con pitture murarie del secondo stile. Diciassette stanze recano ancora tracce di queste pitture. Secondo August Mau, che ancora non conosceva la Villa dei Misteri, queste pitture appartenevano agli inizi di questo stile. Oggi sono datate a ca. il 70-60 a.C. e probabilmente sono frutto di una nuova decorazione della casa dopo la distruzione dell’89 a.C.
A nord del peristilio si trova un oecus decorato con 10 colonne corinzie, le cui pareti presentano pitture deteriorate anch’esse del secondo stile. Il pavimento presenta un mosaico che dà nome alla casa quest’ultimo raffigura Teseo che uccide il Minotauro nel labirinto. Le terme della casa sono decorate con pitture del terzo stile.
I due atri lasciano supporre che siano state forse unite quelle che una volta erano due abitazioni più vecchie.
LA VILLA DEI PAPIRI
Villa dei Papiri è una delle più grandi e sontuose residenze romane, riportate alla luce dagli scavi di epoca borbonica, tra il 1750 ed il 1764. Si estende sotto l’attuale centro abitato, a circa trenta metri di profondità, e arriva fino al mare. Oltre alla straordinaria raccolta di opere d’arte, lo scavo della villa ha restituito una ingente biblioteca di papiri con testi greci e latini.
L’esplorazione avvenne attraverso una rete di cunicoli che furono scavati nel duro banco di roccia vulcanica, sotto la direzione dell’ingegnere svizzero Karl Jakob Weber il quale realizzò anche una accuratissima mappa della villa, che ancora oggi è in gran parte sepolta.
Villa dei Papiri fu la residenza estiva di Lucio Calpurnio Pisone, suocero di Giulio Cesare e letterato, che proteggeva poeti e filosofi. Egli fece costruire presso la sua residenza, e per volere del filosofo Filodemo di Gadara, una biblioteca che rappresentò uno dei più importanti luoghi culturali del tempo.
Qui dai primi scavi del 1752 gli archeologi hanno recuperato circa 2000 rotoli di papiro che potrebbero restituirci aspetti ancora sconosciuti dell’antica storia romana. Speranza degli studiosi e dei linguisti greci e latini è che fra i papiri di villa Pisone possa essersi conservata, sotto lo strato di fango, anche l’ultima copia esistente della “Storia di Roma” di Ennio, un’opera di cui se ne conosce solo una parte, e il cui ritrovamento potrebbe contribuire alla riscrittura dell’intera storia di Roma.
È stato possibile recuperare i papiri perché la carbonizzazione dei documenti non avvenne per il calore della lava, ma per un processo di mineralizzazione favorito dal materiale che sommerse Ercolano nel 79 d.C.
PERISTILIO - Il grande peristilio della villa è stato ricostruito con il punto di vista di una persona che guarda, dall’angolo Sud-Est del giardino, verso il portico Nord. Con il sottofondo del suono del mare e degli uccelli che popolavano il giardino si potrà osservarne il grande colonnato che aveva le dimensioni di un campo di calcio, misurando oltre 120 x 45 m.
La ricca vegetazione era sapientemente articolata in aiuole e vialetti, con il predominio delle essenze mediterranee profumate che permetteranno di aprire anche uno squarcio sui profumi di uso più comune nel mondo romano.
L’installazione, mediante la tecnologia e il software sviluppato appositamente, è concepita come un’esperienza immersiva in cui oltre allo sguardo siano coinvolti anche altri sensi. Una macchina dei profumi (iSense) consentirà di sentire le varie essenze, tipiche della flora vesuviana, consentendo al visitatore un’esperienza multisensoriale che rappresenta anche un simbolico salto nel tempo.
Allo stesso tempo questa installazione consentirà di comprendere lo stile del “vivere in villa”. Uno stile di vita in cui le bellezze naturali e quelle create sapientemente dall’uomo con le architetture e le decorazioni si coniugavano con il concetto di otium inteso come la lontananza dagli affari politici ed economici per dedicarsi agli studi.
Villa dei Papiri, infatti, fu sede di una scuola filosofica epicurea ed il Grande peristilio si presenta come il luogo ideale per le lezioni e le dispute retoriche che accompagnavano il percorso formativo dei giovani romani. Al centro del giardino spicca poi la grande piscina sui cui bordi si trovavano alcune eccezionali statue come la coppia di cerbiatti, il satiro addormentato, il satiro ebbro o i corridori, che sono tra i bronzi più famosi rinvenuti nella villa e che sono visibili sugli schermi appena superati.
TABLINO - La ricostruzione virtuale del TABLINO di villa dei papiri è organizzata come un cave (Cave Automatic Virtual Environment), prevede una esperienza immersiva nel quartiere della villa compreso tra il peristilio quadrato ed il tablino, in modo da mostrare il cuore dell’edificio. Il cave è un moderno sistema di riproduzione di realtà virtuale.
Si basa sulla realizzazione di una stanza cubica, sulle cui pareti vengono proiettate immagini in computer grafica. L’utente si trova così in un ambiente tridimensionale immersivo e coinvolgente. Esistono diverse tipologie di cave, a seconda di quante pareti laterali si vogliano realizzare e se si vogliono riprodurre pavimento e soffitto dell’ambientazione virtuale.
Il cave necessita di videoproiettori e di svariati calcolatori elettronici, ma sopratutto di un apposito software che ha il compito gestire e sincronizzare le varie proiezioni e, quando previsto, di interagire con l’utente.
Il tablino di una domus romana era costruito in asse con l’ingresso, e fungeva da sala di ricevimento, chiuso con una tenda. In questa stanza, in età arcaica si consumavano i pasti; poi fu creata una stanza apposita detta triclìnum. Esistevano triclìni invernali ed estivi: questi ultimi, all’aperto, erano posti sotto pergolati e allietati da fontanelle e giochi d’acqua.
BIBLIOTECA - Oltre ad essere un edificio di straordinarie dimensioni e di grande lusso, la Villa dei papiri è diventata famosa per la scoperta di oltre 1800 rotoli carbonizzati che costituiscono l’unica biblioteca del mondo antico che è giunta fino a noi con documenti originali.
La maggior parte dei papiri furono scoperti nella cosiddetta “biblioteca”, un piccolo ambiente a pianta quadrata, decorato con semplice intonaco bianco, lungo il quale erano disposti scaffali in legno su cui erano poggiati i rotoli (video in fondo al corridoio).
Nella prima fase degli scavi settecenteschi, la difficoltà nel riconoscere questi oggetti portò alla perdita di alcuni papiri, in quanto non vennero immediatamente riconosciuti come rotoli inscritti ma furono buttati perché considerati semplici pezzi di legno bruciato e quindi privi di valore. Solo quando, durante queste operazioni, uno dei rotoli questi cadde e si aprì, gli scavatori si accorsero che in realtà si trattava di papiri carbonizzati.
L’importanza della scoperta suscitò subito grande interesse tant’è che venne creata un’apposita Accademia per lo studio dei testi scritti sui papiri che sono oggi conservati in una sezione della Biblioteca Nazionale di Napoli appositamente istituita e denominata Officina dei Papiri Ercolanesi.
STATUE
La Villa dei papiri è anche famosa per l’incredibile numero di statue in marmo e bronzo che furono recuperate durante gli scavi borbonici. Si tratta infatti della più grande collezione di sculture antiche restituitaci dal sottosuolo vesuviano e in generale del mondo romano. È formata da poco meno di 100 sculture in marmo e in bronzo.
Lo splendido stato di conservazione è legato soprattutto alle dinamiche di seppellimento, che nel 79 d.C. intrappolò questi oggetti in una durissima coltre di materiale vulcanico a circa 25 m dall’attuale piano di calpestio. La collezione è composta da 65 opere di bronzo e 28 di marmo, delle quali 82 sono oggi esposte al Museo Archeologico di Napoli, in sale dedicate esclusivamente alle scoperte nella Villa dei papiri.
La maggior parte sono statue, statuette e busti, ma non mancano piccoli gruppi statuari e le erme. Il maggior numero di sculture fu rinvenuto nel grande peristilio rettangolare, mentre altre furono scoperte nell’atrio, nel peristilio quadrato, nel tablino e in altri ambienti dell’edificio.
Naturalmente questo vasto complesso scultoreo non è che una parte dell’intera collezione; altre statue sono certamente ancora sepolte dal materiale vulcanico che copre gli ambienti inferiori della villa e la zona Est della stessa che non fu raggiunta dai cunicoli borbonici.
La tipologia delle statue che presenta gruppi di filosofi, sovrani ellenistici, condottieri, divinità sembra compatibile con il programma decorativo di un edificio che ospitata una scuola filosofica o di una lussuosa dimora dove la storia e la filosofia occupavano un posto rilevante nelle passioni e negli interessi del ricchissimo proprietario.
Si spiega in questo modo la presenza del busto di Epicuro e di Ermarco, di Mitilene e Metrodoro, di Lampsaco, stretti collaboratori di Epicuro. Grazie alla tecnica del laser scanner si e’ potuto riprodurre in 3D alcune delle statue più famose e più importanti presenti nella villa che sono visibili sugli schermi in questo corridoio.
MACCHINA DEL PIAGGIO - La difficoltà dello srotolamento dei papiri era dovuta al fatto che questi si presentavano completamente carbonizzati e quindi estremamente fragili. Questa situazione portò a sperimentare diverse tecniche; tutte con scarso risultato e con la distruzione di diversi rotoli.
Soltanto dopo diversi tentativi, grazie all’opera di PADRE ANTONIO PIAGGIO, si riuscì ad impostare un sistema di apertura, mediante la costruzione di una macchina che si basava sul movimento di una vite per aprire il rotolo che veniva gradualmente disteso su una striscia di vescica di pecora o di maiale.
Il lavoro di ricostruzione virtuale ci ha consentito di riprodurre il funzionamento messo a punto da Padre Piaggio, come si può vedere nel video.
Il lento lavoro degli studiosi ha permesso di identificare opere di Epicuro e di altri esponenti della sua scuola, anche se l’autore maggiormente rappresentato è certamente Filodemo da Gadara, filosofo vissuto tra la fine del II secolo e la seconda metà del I secolo a.C. e protetto del suocero di Giulio Cesare.
Appare molto probabile la sua permanenza nella villa come testimoniano alcuni papiri in cui sono documentati i diversi stadi di composizione delle sue opere.
Inoltre dai papiri è emerso anche il nome di Sirone, un filosofo epicureo, allievo di Filodemo, che fu il maestro di Virgilio. Alcuni studiosi ipotizzano anche una presenza dello stesso Virgilio nella Villa dei Papiri sulla base delle iniziali del suo nome che sono leggibili in uno dei papiri.
LUOGHI DEL PIACERE - Il termine LUPANARE deriva dal latino Lupa che significa prostituta: era il luogo di Pompei dove praticavano le prostitute. Al piano terra ci sono cinque stanze, come al superiore, ed una latrina: i letti, in muratura, erano coperti dal materasso. Quadretti dipinti, raffiguranti le diverse posizioni da assumere nei giochi d’accoppiamento, ornavano il lupanare.
Le prostitute erano schiave, di solito greche e orientali.
Il prezzo andava dai 2 agli 8 assi (la porzione di vino ne costava 1), ma il ricavato, trattandosi di donne senza personalità giuridica, andava al padrone o al tenutario (lenone) del bordello.
L’edificio è degli ultimi periodi della città: in una cella l’intonaco fresco ha catturato l’impronta di una moneta del 72 d.C.
I GIOIELLI
Con la tecnica degli ologrammi applicata alla ricerca archeologica è possibile raccontare la storia attraverso gli oggetti: grazie ad un gioco di rifrazione della luce proiettiva, possiamo ammirare alcuni esempi dei gioielli e dei preziosi recuperati negli scavi.
Nel 1980, gli scavi diretti da Giuseppe Maggi hanno rilevato che la popolazione dell’antica Herculaneum, al sopraggiungere della devastante eruzione, non aveva cercato riparo nella fuga verso Napoli, bensì si era ammassata in gran parte in ambienti presso la spiaggia o sulla spiaggia stessa.
Furono infatti ritrovati resti umani perfettamente conservati di uomini e donne di ogni ceto sociale che nella fuga portarono con sé monete preziose, oggetti e gioielli. Gli ornamenti in oro erano i preferiti dalle donne vesuviane e l’arte orafa un’attività molto affermata negli anni immediatamente precedente l’eruzione.
La produzione di gioielli ebbe un forte incremento quando si consolidarono i traffici con l’oriente, da cui erano importate pietre e gemme.
L’ERUZIONE DEL VESUVIO IN 3D/MULTI D
Fiumi di lava accompagnati da una colonna di gas e ceneri e da una pioggia di lapilli incandescenti che sembrano irrompere sullo spettatore, terremoti, esplosioni: questa è l’eruzione del Vesuvio proposta ai visitatori grandi e piccini del Mav.
La ricostruzione del tragico evento del 79 d.C. si basa sul racconto di Plinio il Giovane nelle lettere a Tacito e fa riferimento alle ricostruzioni scientifiche dell’Istituto Nazionale di Geofisica e di Vulcanologia (INGV).
La tecnologia utilizzata è un innovativo sistema i3D/multiD, sperimentato per la prima volta al MAV, che consente di rivivere, attraverso un’esperienza immersiva, tutte le fasi dell’eruzione.
Per sentirsi immersi nella scena e parte dell’esperienza proiettata, i visitatori che si trovano al centro del cilindro, dovranno indossare gli occhiali 3D.
Informazioni utili:
Orario di apertura: da Martedì alla Domenica 10.00 – 18.00
Biglietto intero: 11€
Biglietto ridotto: 9€
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