Un’altura di rocce gessose, coperte da una bassa vegetazione, e una fonte prodiga d’acqua a {tip title="Valle del Miscano" content="Per la sua posizione nell’Appennino campano, situata com’è tra le province di Avellino e Benevento con una propaggine nel Foggiano, la valle bagnata dal fiume Miscano è stata strategica nei collegamenti tra il Tirreno e l’Adriatico, a cavallo tra Campania e Puglia, fin dalle epoche più remote.
Percorsa da uomini e greggi lungo il tratturo Pescasseroli-Candela e attraversata fin dall’età imperiale dalla via Herculea, che metteva in comunicazione Sannio e Lucania, e dalla via Traiana, tra Benevento e Brindisi, poi divenuta parte della via Francigena, la valle custodisce testimonianze archeologiche di varie epoche e popolazioni: dalle selci lavorate del Paleolitico ai resti di manufatti neolitici rinvenuti a La Starza, vicino Ariano Irpino, alle strutture sannitiche vicino Casalbore, fino alle rovine dell’abitato romano di Aequum Tuticum." class="primary"}La Starza{/tip}. Era quello, nella valle del fiume Miscano, un luogo ideale di sosta lungo il percorso che collegava il Tirreno e l’Adriatico. E lì, gli uomini che lo conoscevano e lo frequentavano nell’età paleolitica, hanno lasciato tracce importanti. A cui se ne aggiunsero tante altre, quando quel sito cessò di essere solo un luogo di passaggio, per accogliere nel VI millennio a.C. dunque in pieno Neolitico, il più antico villaggio della Campania.
Altri villaggi sorsero quando le prime popolazioni italiche si stanziarono tra quelle montagne. E in cerca di nuove terre, qualche secolo dopo, arrivò dal vicino Sannio un folto gruppo di giovani, spinti fin lì ancora da un “ver sacrum”. A indicare loro la strada fu un lupo, dal cui nome in lingua osca, hirpus, presero il nome di Irpini. In quel vasto territorio che si estendeva tra i fiumi Sabato, Ufita e Ofanto, fondarono Maloenton, Aeclanum, Romulea, Compsa, Aletrium, Aquilonia, Lacedonia e, proprio sulle rive del Sabato, Abellinum. Anche le tribù irpine, federate nella Lega sannitica, parteciparono alle tre guerre contro i Romani. In seguito, quando Annibale chiese il loro sostegno durante la seconda guerra punica, si divisero tra gli aristocratici fedeli all’alleanza con Roma e i democratici favorevoli al condottiero cartaginese. Ancora divisi su due fronti, si combatterono durante la guerra sociale. Nell’87 a.C. ottennero la cittadinanza romana da Mario, ma in seguito alla successiva guerra civile tra Mario e Silla, alla vittoria di quest’ultimo, furono privati di ogni beneficio e autonomia e soprattutto delle loro terre, che vennero distribuite a cittadini romani. Separata amministrativamente dal Sannio in età imperiale, l’Irpinia fu inclusa nella Regio II Apulia et Calabria, sotto il controllo della colonia militare di Compsa.
Nel VI secolo d.C,, con l’avvento dei Longobardi, le terre irpine entrarono a far parte del Ducato di Benevento. Con la nascita del Principato di Salerno nell’849 e la divisione della Langobardia minor, i territori irpini passarono in gran parte sotto il dominio del nuovo stato. La completa riunificazione delle terre degli antichi Irpini avvenne nell’XI secolo sotto i Normanni, il cui insediamento nell’Italia meridionale partì proprio dalla contea di Ariano, nota per le omonime Assise.
Durante l’età angioina, nel XIII secolo, l’Irpinia fu sottratta al controllo di Salerno e in seguito, con il riordino amministrativo del Regno di Napoli voluto dal Carlo I d’Angiò e sancito dal trattato di Alife del 5 ottobre 1273, fu compresa nel nuovo giustizierato denominato Principato Ultra, che sopravvisse nel Regno di Napoli e poi nel Regno delle Due Sicilie fino al 1806 Fu allora che il re Giuseppe Bonaparte abolì i giustizierati e riformò l’organizzazione amministrativa del regno istituendo le province. Con la nascita della Provincia di Principato Ultra il capoluogo passò da Montefusco ad Avellino, che diede il nome alla provincia con l’unità d’Italia nel 1860.
Per la sua posizione nell’Appennino campano, situata com’è tra le province di Avellino e Benevento con una propaggine nel Foggiano, la valle bagnata dal fiume Miscano è stata strategica nei collegamenti tra il Tirreno e l’Adriatico, a cavallo tra Campania e Puglia, fin dalle epoche più remote. Percorsa da uomini e greggi lungo il tratturo Pescasseroli-Candela e attraversata fin dall’età imperiale dalla via Herculea, che metteva in comunicazione Sannio e Lucania, e dalla via Traiana, tra Benevento e Brindisi, poi divenuta parte della via Francigena, la valle custodisce testimonianze archeologiche di varie epoche e popolazioni: dalle selci lavorate del Paleolitico ai resti di manufatti neolitici rinvenuti a La Starza, vicino Ariano Irpino, alle strutture sannitiche vicino Casalbore, fino alle rovine dell’abitato romano di Aequum Tuticum.
La “primavera sacra” o “ver sacrum” era un rito praticato dalle popolazioni italiche dell’Età del Ferro e collegato ai movimenti migratori che portavano alla creazione di nuove colonie. In caso di carestie e di guerre e quando si verificava un eccessivo incremento della popolazione, in particolare presso i Sabini si faceva voto di sacrificare al dio Mamerte – Marte per i Romani – tutti i primogeniti nati tra il 1° marzo e il 30 aprile dell’anno seguente. Se gli animali erano effettivamente sacrificati, invece i bambini venivano cresciuti come persone sacre agli dei e poi, raggiunta la maggiore età, dovevano lasciare la comunità di origine per andare a fondare nuove colonie. Ad indicare loro la strada verso la nuova terra e il luogo in cui fermarsi era un totem animale e ogni nuova tribù lo adottava poi come proprio animale sacro.
Fu così che i Sabini si diversificarono dagli Umbri, per poi dare vita alle comunità dei Piceni, dei Sanniti, che ebbero come totem il toro selvaggio, e degli Irpini, guidati dal lupo.
Già prima di entrare apertamente in conflitto con i Romani, intorno al V secolo a.C., i Sanniti si erano dotati di un ordinamento statuale riunendosi in confederazione. Alla Lega sannitica aderivano i quattro popoli (touti in lingua osca) sanniti: Pentri, Carricini, Caudini e Irpini, a cui in seguito si unirono i Frentani, che furono i primi a sottomettersi ai Romani. Il “touto”, la comunità, era governata da un consiglio e da un meddix tuticus (meddìs tu ), un magistrato democraticamente eletto, che restava in carica per due anni con la possibilità di varie rielezioni ed era coadiuvato da altri amministratori con specifiche funzioni. Il meddix aveva responsabilità di governo, ma anche militari e religiose. Nella Lega, che aveva come principale finalità l’unità militare dei Sanniti per contrastare la progressiva espansione romana nei loro territori, era guidata da un consiglio formato dai meddix dei vari “touti”, che si riuniva a rotazione nei capoluoghi dei “touti” stessi, quando c’erano da decidere azioni militari. E in caso di guerra, la Lega nominava un comandante scegliendolo tra i meddix. La Lega fu attiva per tutto il lungo periodo delle Guerre sannitiche contro Roma, mentre non è attestata la sua sopravvivenza già nel III secolo, quando i Sanniti si divisero nel dare appoggio ad Annibale contro Roma.
(foto di paesaggio di Lacedonia, l’antica Aquilonia) In piena fase espansionistica, già impegnati a nord contro gli Etruschi, a sud i Romani entrarono in confitto con i Sanniti per tre volte tra il IV e il III secolo a.C. Il primo scontro scaturì dall’occupazione di Capua e Cuma da parte sannita nel 343 a.C. Gli abitanti di Capua chiesero e ottennero l’intervento di Roma. Fu una guerra relativamente breve, di un paio d’anni, di fatto per il controllo della Campania. E infatti si chiuse quando i Sanniti rinunciarono alla Campania.
Fondata una nuova colonia nella valle del Liri, i Romani nel 326 occuparono Napoli, bloccando l’espansione sannita verso il mare. I Sanniti entrarono in guerra, fidando sull’ottima preparazione militare e su armi sconosciute ai nemici, come i giavellotti. Fu un confronto sanguinoso, in cui i Sanniti riportarono la vittoria delle Forche Caudine. Poi dopo qualche anno di tregua, durante i quali Roma si era alleata con diversi popoli confinanti dei nemici ed era stata costruita la via Appia, che garantiva supporto e approvvigionamenti ai Romani, si riprese a combattere nel 316, fino al 304, quando i Sanniti chiesero la pace.
La terza guerra riprese nel 298 a.C., dopo che i Sanniti avevano stretto alleanza con Etruschi, Umbri e Galli Senoni. Tante le battaglie, con esito alterno, ma si rivelò decisiva la battaglia di Aquilonia (293) nel Sannio. La guerra si concluse definitivamente nel 290, con la resa dei Sanniti, che stipularono con Roma un accordo di pace e di alleanza.
Dopo la vittoria di Canne nel 216 a.C., Annibale si mosse verso sud con il suo esercito per occupare nuovi territori e per conquistare alla sua causa le popolazioni italiche. Operazione in gran parte riuscita anche con i Sanniti, che però si divisero: Carricini, Caudini e Irpini passarono dalla sua parte, mentre i Pentri rimasero fedeli a Roma.
Dal 91 all’88 a.C. la Repubblica romana si trovò opposta ai popoli italici che fino ad allora le erano stati alleati e che rivendicavano la cittadinanza romana. A prendere le armi contro Roma furono anche i Sanniti, sotto il comando di Gaio Papio Mutilo, che guidavano la rivolta a sud. L’esercito dei Sanniti e dei loro vicini alleati occupò varie città della Campania, prima di essere sconfitti da Silla nell’89 a.C. Ormai Roma aveva riportato vittorie decisive ed era riuscita a dividere lo schieramento nemico grazie a una serie di progressive concessioni, ma i Sanniti continuarono a resistere fino all’88, quando furono definitivamente piegati. La repubblica romana concesse la cittadinanza agli italici e così assunse il pieno controllo della Penisola di cui iniziò la romanizzazione.
I Longobardi furono un popolo germanico che dalla valle dell’Elba fu protagonista dal II secolo d.C. di una migrazione prima verso est, poi verso sud, fino a arrivare in Italia nel 558, sotto la guida di re Alboino. Fondarono un regno indipendente con capitale a Pavia, organizzato in ducati dotati di grande autonomia. La progressiva integrazione con la popolazione di cultura latina è testimoniata dal corpo di leggi del regno scritto in latino, l’Editto di Rotari, e dalla conversione al cattolicesimo. Il regno longobardo perse la sua autonomia nel 774, dopo la sconfitta subita da parte dei Franchi guidati da Carlo Magno, che conquistò Pavia.
I domini longobardi nell’Italia meridionale, la “Langobardia minor”, mantennero la loro autonomia anche dopo la caduta di Pavia. Il Ducato di Benevento fu trasformato in Principato da Arechi II. Nei secoli seguenti, da Benevento si staccarono il Ducato di Salerno e il Ducato di Capua, che ebbero rapporti contrastati con i bizantini, il Sacro Romano Impero, i ducati costieri e i Saraceni. Intorno al 1050 il Ducato di Salerno controllava quasi tutta l’Italia meridionale, prima di passare sotto il controllo normanno con Roberto il Guiscardo.
Di origine vichinga, originari della Norvegia o della Danimarca, grandi navigatori, si espansero in tutta l’Europa settentrionale, prima di cominciare la lunga emigrazione verso sud, dapprima occupando la regione che da loro si chiamò Normandia, per poi spingersi in Inghilterra, nel resto della Francia e in Italia meridionale, in Puglia, dove giunsero nel 1017.
Un gruppo di Normanni guidato Gilberto Buatère si insediò a Ariano, in Irpinia, prendendo il controllo della contea longobarda, che fu loro ufficialmente riconosciuta dall’imperatore di Franconia Enrico II nel 1022. Ariano fu il primo nucleo del dominio normanno in Italia.
Pochi anni dopo, nel 1030, il capo dei Normanni in Italia Rainulfo Drengot fondò la città di Aversa. Fu Roberto il Guiscardo a espandere il dominio normanno nell’Italia meridionale, dalla Puglia alla Calabria, scalzando i bizantini e inglobando quel che restava dei domini longobardi, trasferendo nel 1077 la loro capitale a Salerno. In seguito avrebbero conquistato parte dell’Italia centrale, tra le Marche e l’Umbria e il regno di Sicilia.
Nel 1140 e nel 1142 il re di Sicilia Ruggero II convocò ad Ariano due adunanze degli alti feudatari del regno. Da queste assemblee scaturì il corpo di leggi che regolamentò la burocrazia, l’economia e l’ordinamento militare del regno.
Definito dai suoi contemporanei “stupor mundi”, Carlo d’Angiò, figlio del re di Francia Luigi VIII il Leone e di Bianca di Castiglia, nacque a Parigi il 21 marzo 1226. Grazie al matrimonio con Beatrice nel 1246, divenne conte di Provenza e di Forcalquier, mentre il re Luigi IX lo nominò conte d’Angiò e del Maine dando così origine alla dinastia angioina come nuovo ramo dei Capetingi. Incoronato re di Sicilia nel 1266, due anni dopo, nel 1268, a seguito della sconfitta definitiva degli Svevi, trasferì la capitale da Palermo a Napoli. Seguirono anni di continue guerre per consolidare il suo controllo dell’Italia, finchè il 30 marzo 1282 non scoppiò in Sicilia la rivolta dei Vespri che consegnò l’isola agli Aragonesi. Contro questi ultimi continuò a lottare finchè la morte lo colse a Foggia il 7 gennaio 1285. Fu sepolto nel Duomo di Napoli.
Durante il dominio normanno, svevo e angioino del Regno di Sicilia, il giustizierato era un distretto amministrativo guidato dal giustiziere.Nel regno se ne contavano undici, nove nella parte peninsulare e due in Sicilia. Furono gli Aragonesi a sostituirli con le province guidate da funzionari regi.
Fratello maggiore di Napoleone, che affiancò nella sua ascesa al potere, dopo la proclamazione del generale a imperatore, nel 1806 gli fu affidato il regno di Napoli che governò per due anni, prima di essere nominato re di Spagna.