Nella notte, le luci scenografiche esaltano e ingentiliscono le forme imponenti della rocca dalle quattro torri, sottratta alle aggressioni del tempo e agli effetti di un lungo abbandono.
Sulla verde sommità della collina di San Nicola del Vaglia, tra i monti Lattari, svetta il classico profilo del castello di Lettere, a cui l’altezza regala quello che oggi è solo un magnifico panorama, mentre in passato fu per secoli visione strategica a tutela del confine settentrionale della Repubblica e poi del Ducato d’Amalfi. Non una grande altezza, quei 340 metri, ma sufficiente a garantire un affaccio speciale sulla valle del Sarno dai monti omonimi fino alla foce, verso Castellammare, con il Vesuvio proprio di fronte.
Il controllo del porto di Castellammare e del golfo di Napoli da quel versante era stato la principale ragione per la quale, alla caduta dell’Impero Romano, entrando nella sfera d’influenza di Amalfi che iniziava la sua ascesa, il villaggio di Lettere, probabilmente sede di un castrum all’epoca di Silla, si era ritrovato a svolgere un ruolo di primo piano nella difesa del territorio della Repubblica e delle sue vie commerciali nell’interno. A quello scopo nel X secolo era stata edificata la fortificazione originaria, che inglobava il piccolo villaggio preesistente, dalle caratteristiche case a più piani. Coevi erano sorti i castra di Pino e Gragnano, per rendere sicuri i Lattari su tutti i versanti e sigillare il limite del dominio amalfitano.
All’interno delle mura da poco innalzate, era stata costruita la cattedrale, sede dal 987 di un vescovado. Solo due secoli più tardi il complesso religioso fu completato con un magnifico campanile romanico adorno di motivi geometrici di tufo grigio e di arenaria gialla.
Decaduta Amalfi, con l’arrivo dei Normanni il castello non fu abbandonato, anzi ampliato con nuove mura, ancora più possenti, una nuova porta con ponte levatoio e un camminamento con le postazioni per gli arcieri. Poi venne il tempo degli Svevi e il castello fu affidato nel 1263 a Riccardo Filangieri. Fu in quel periodo che la fortezza dalla pianta trapezoidale venne arricchita da un’altra torre e da un mastio poligonale, allocato nella torre più alta. In epoca angioina, l’ulteriore ristrutturazione anche per aggiornare le difese all’avvento delle armi da fuoco, per le quali furono costruite due torrette, oltre alla nuova torre sud.
Durante il dominio degli Aragonesi, la struttura perse progressivamente la sua funzione difensiva, per essere riconvertita in residenza prestigiosa, come testimoniò l’apertura di finestre sulle severe mura, baluardo contro ogni attacco. Nel 1529 Isabella de Caprona acquistò il castello turrito, mentre tutt’intorno cresceva l’attività agricola e conosceva un forte sviluppo la pastorizia. Attività che dovevano dimostrarsi nei secoli a seguire molto più longeve del maniero, condannato invece ad un abbandono che ne provocò la progressiva distruzione.
La svolta arrivò soltanto tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, quando fu avviato e portato a termine il completo restauro del castello. Che con gli scavi archeologici del 2007 rivelò al suo interno altre strutture di servizio e un’ampia gamma di reperti.
Questi ultimi sono ora esposti al pubblico nella cosiddetta Torre del Grano, la più bassa, utilizzata per stoccarvi il grano appunto, dove è allestito il Museo del Parco archeologico del castello di Lettere. I materiali, per lo più ceramici e di bronzo, raccontano la storia quotidiana e le abitudini degli antichi abitanti della fortezza. E, in particolare, quelli di provenienza dalle varie sponde del Mediterraneo, dal nord Africa alla Spagna e alla Sicilia, illustrano anche l’importanza che il castello ebbe nei traffici commerciali dei naviganti amalfitani con i territori interni e gli stati confinanti.
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