MANGIARE/BERE
in Costiera Amalfitana
Lo “sfusato” è protagonista sulla tavola con i latticini di Agerola e i prodotti del mare
Non c’è giardino che ne sia privo. Anzi, la definizione stessa di giardino in Costiera Amalfitana identifica la coltivazione dei limoni. Presenza costante nei terreni faticosamente conquistati sulle balze delle colline, terrazzate con i muri a secco di pietre calcaree conosciuti come macerine. Elemento fondamentale del paesaggio che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità. E non poteva che spettare un ruolo da protagonista a una pianta tanto preziosa, i cui frutti erano largamente utilizzati già dalla Scuola Medica Salernitana, che ne aveva ereditato la conoscenza dagli Arabi. Come era stato fin dall’XI secolo anche per gli Amalfitani, in continuo contatto con il mondo orientale. Da quello avevano appreso i vantaggi di un frutto che era antidoto efficace contro lo scorbuto, gravissimo rischio per i naviganti. E così, grazie ai giardini di casa, i marinai della Repubblica imbarcavano grosse quantità di limoni per disporne durante le lunghe traversate. Tanto più che il limone che popola la costiera, lo sfusato amalfitano IGP, ha una percentuale di vitamina C più alta di tutte le altre specie.
Dalla forma affusolata, molto profumato, ricco di succo e oli essenziali nella buccia (flavedo), il limon amalphitanus è presente in tante delle preparazioni gastronomiche della terra amalfitana. Come condimento, nelle insalate, trasformato in sorbetto, marmellata o aroma irrinunciabile di creme per i dolci tipici della zona, sfogliatelle comprese. La buccia grattugiata nei ravioli di ricotta e le foglie per profumare le fette di mozzarella affumicate. Dulcis in fundo, il liquore più noto della Costiera, il limoncello.
Sempre il limone è compagno dei prodotti ittici che tanto spazio hanno nella cucina amalfitana: frutti di mare, pesce azzurro, polpi, scorfani, pezzogne, occhiate e ricciole e altri pesci, diversi a seconda delle stagioni.
Con i limoni, sui terrazzamenti sono diffuse anche le vigne. Tra Furore, Ravello e Tramonti si produce il vino Doc Costa d’Amalfi. La fanno da padrone uve molto legate alle specificità dei singoli territori: Aglianico, Biancolella, Pepella solo nell’entroterra amalfitano, Ravello e Gran Caruso. E il Tintore, l’antico vitigno franco di piede di Tramonti salvato dall’estinzione.
Grazie all’acqua del Reginna Minor che faceva funzionare i mulini, Minori è stata storicamente tra i maggiori produttori di pasta del Sud, non meno di Gragnano, per cui forte è la tradizione della pasta. Tra le paste più antiche, riconosciuta dall’Unesco, ci sono i fusilli e gli Ndunderi preparati per Santa Trofimena: degli gnocchetti fatti di farina, uova e parmigiano e ricotta di Agerola.
Quest’ultima è la patria dei prodotti caseari della Costiera. L’ottimo latte delle mucche di razza Agerolese è la base del famoso Provolone del Monaco Dop. I “monaci” erano i casari che lo portavano a Napoli, che per proteggersi dal freddo si coprivano con tela di sacco, simile ai sai dei religiosi. Stagionato nelle cantine tra i 4 e i 18 mesi, si tratta di un formaggio molto pregiato, valore aggiunto di tante pietanze, a cominciare dalla pasta e patate. Dal latte delle bovine dei Lattari si ottengono ottimi fiordilatte, provola affumicata e la ricotta, ideale per le pastiere.
Non mancano i salumi, soprattutto ad Agerola: soppressata, pancetta e capocollo. Da accompagnare con il pane di segale e frumento, pane biscottato e taralli al finocchietto selvatico.
Tramonti, oltre Napoli, è un’altra capitale della pizza Pat, fatta con il criscito, il lievito madre, con farina bianca o integrale (nel qual caso si aggiunge all’impasto il finocchietto selvatico), i pomodorini, il fiordilatte dei Monti Lattari, l’origano e l’olio dop delle Colline salernitane.
Tra la frutta, straordinarie sono specie antiche e rare: la mela limoncella e la tubbiona e le pere pennata e mastantuono.
Tra le tipicità, il Sarchiapone di Atrani con dischi di zucca lunga, formaggio locale e carne macinata cotto nel pomodoro. A Maiori, la ricetta tipica, cucinata in particolare a Ferragosto, è ‘a mulignana c’a ciucculata. Secondo la tradizione sarebbe opera di un frate francescano che la preparò ai confratelli con melanzane fritte e una crema dolce a cui in seguito si aggiunse il cioccolato fondente.
La colatura di alici di Cetara
Da secoli è l’elemento distintivo della cena della vigilia di Natale degli abitanti di Cetara. L’alternativa, in tempi di povertà, alla mancanza di vongole e frutti di mare, oggi un condimento particolarmente rinomato, prodotto in piccole quantità secondo una ricetta tramandata di generazione in generazione dal Medio Evo, quando fu elaborata dai monaci di San Pietro a Tuczolo, che d’estate pescavano acciughe, ma codificata per iscritto nel 1807. L’erede diretta della salsa onnipresente nella cucina degli antichi Romani, il garum. Tutto questo è la colatura di alici di Cetara, il prezioso liquido color dell’ambra che richiede quasi un anno di lavoro, prima di essere pronto per l’uso in cucina.
Si comincia dalla primavera, perché all’origine di tutto ci sono le alici majatiche, che si catturano tra il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, e il 22 luglio, giorno di Santa Maria Maddalena. Appena pescate, le acciughe sono private delle teste e delle interiora e disposte a strati in un contenitore, dove vengono coperte di sale marino per 24 ore. Subito dopo, vengono trasferite in una piccola botte, detta terzigno, in cui si alternano a strati di sale. La botticella è coperta con un disco di legno su cui sono disposti vari pesi, via via sempre più leggeri con il passare del tempo. Il liquido secreto dalle alici in salamoia viene lentamente in superficie e man mano recuperato e messo in bottiglie di vetro trasparente, che da quel momento sono esposte alla luce diretta del sole per quattro o cinque mesi. Dopo quel periodo, il liquido torna nel terzigno per la fase finale. Colando tra gli strati di pesci, ancora una volta, ne prende profumo, sapore e sostanza, per poi, attraverso un foro, essere raccolto e filtrato con appositi teli di lino chiamati cappucci. Il liquido recuperato al termine della lunga procedura nel mese di dicembre è di un colore intenso e viene imbottigliato introducendo un rametto di origano, prima di chiudere il tappo. Così la colatura di alici cetarese è pronta per unirsi agli spaghetti o alle linguine nella ricetta più semplice e caratteristica. Ma la colatura accompagna anche altri formati di pasta e verdure, come i broccoli della Vigilia.
La ricetta
Scialatielli amalfitani con pomodorini
Prendete mezzo chilo di pomodorini, lavateli e tagliateli a metà o a spicchi. Metteteli in una ciotola con olio extra vergine d’oliva, sale e erbe aromatiche (quelle che preferite) a marinare per un paio d’ore.
Nel frattempo, preparate la pasta. Impastate mezzo chilo di farina di grano duro con acqua o latte, qualche cucchiaio d’olio, tre foglie di basilico sminuzzate, sale, pepe e grattuggiateci del formaggio caprino stagionato. Fate la sfoglia e tiratela, ricavandone delle striscette.
Mettete i pomodorini con tutto il condimento in una padella larga e fate andare a fuoco vivace, finchè non è assorbita tutta l’acqua della marinatura. Intanto fate bollire gli scialatielli in acqua abbondante. Scolate, aggiungete al sugo e poi servite in tavola.
Ideale per gli scialatielli è anche il sugo con pomodorini e frutti di mare.
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