Una imponente e magnifica scenografia di pietra chiara che si staglia nell’azzurro, incorniciando come in un quadro il mare e il cielo di Napoli. È una delle più belle e rappresentative fontane della città di Partenope, legata alla sua storia e ai suoi miti già nel nome, la Fontana Fonseca del Sebeto.

Anzi, nei nomi: uno riferito al personaggio storico che la fece realizzare, il vicerè Emanuele Zunica y Fonseca conte di Monterey, l’altro al fiume Sebeto, sacralizzato e mitizzato fin dal tempo dei Greci fondatori. E lui, il Sebeto, è raffigurato nella figura centrale del vecchio barbuto, coricato sul fianco destro all’interno di una conchiglia, che domina la complessa rappresentazione scultorea. Un capolavoro di cui a lungo era stata assegnata la paternità solo a Carlo Fanzago, prima di attribuirla alla genialità progettuale dell’assai più famoso padre Cosimo, ridimensionando l’apporto del figlio alla fase meramente esecutiva dell’opera.

Come la maggior parte delle fontane di Napoli, anche questa non è rimasta nel luogo della collocazione originaria, per la quale era stata progettata. A commissionarla nel 1635 era stato il vicerè Fonseca ed era destinata alla discesa del Gigante, già strada Guzmana, oggi via Cesario Console, a Santa Lucia. Per accogliere il nuovo monumento, era stata scavata una grande nicchia nel muraglione soprastante l’arsenale. La fontana risultava di grande e immediato impatto anche in quella sede, dove rimase per quasi tre secoli, prima della sua rimozione nel 1900. Smontata, rimase in attesa di un sito alternativo per 39 anni, quando fu rimontata nel nuovo largo Sermoneta, a completamento dei lavori dell’ultimo tratto di via Caracciolo. Una sistemazione rivelatasi ideale per esaltare l’imponente bellezza dell’opera, incastonandola nel panorama iconico del lungomare partenopeo.

La base del gruppo scultoreo è formata da uno zoccolo scuro di piperno su cui poggia il basamento in marmo chiaro, come il resto dell’opera. Sul basamento si trovano le tre vasche, di cui quella centrale è più aggettante delle laterali. La struttura che si sviluppa in altezza, arricchita da suggestive volute, è sorretta da un arco a sesto ribassato. Ben visibili sono i tre stemmi araldici del re di Spagna, del vicerè e della città di Napoli. La figura dominante è quella del vecchio fiume. Addossati ai due pedritti ai suoi lati ci sono due tritoni, recanti sulle spalle delle “buccine” da cui fuoriescono i getti d’acqua, che finiscono nelle due vasche laterali più piccole. A completare la scenografia, ci sono due obelischi piramidali, sormontati da globi e, in origine, da stelline che sono andate perdute.

Per adattarla alla nuova collocazione, venne aggiunta nel 1929 una facciata posteriore, lasciando scoperto l’interno dell’arco, in modo da lasciare libera la visuale del paesaggio retrostante. Sempre sul lato posteriore, fu apposta un’iscrizione con la storia degli spostamenti dell’opera.

Il fiume Sebeto, alle origini della città

Secondo il mito, Sebeto si unì alla sirena Partenope e da loro nacque Sebetide, che andata in sposa al re di Capri Telone, generò Ebalo. Questi dall’isola riuscì ad espandere i suoi domini nei territori continentali della Campania, compresa Palepolis, e perciò è citato da vari poeti classici, tra i quali anche Virgilio nell’Eneide, dove è indicato tra i nemici di Enea. Sul piano documentale, sono state rinvenute delle monete del V e IV secolo a.C. su cui è raffigurato il volto di un giovane con un corno sulla fronte e la scritta Sepeitos e sul lato opposto una donna alata su un’idra rovesciata con la scritta Neapolites. Vicino la porta del Mercato, è riemersa un’iscrizione di età imperiale, con un tempietto in onore del Sebeto e le parole: “P. Mevio Eutico ha riconsacrato un sacello al Sebeto”, da cui si evince l’esistenza di un antico tempio dedicato al fiume, secondo una tradizione dei Greci di Eubea, che divinizzavano i corsi d’acqua dei loro territori.

Al di là del mito e delle testimonianze storiche che ne confermano indirettamente l’esistenza, il Sebeto era un fiume che raggiungeva il mare dopo aver attraversato Napoli. La sua origine è stata localizzata sul Monte Somma o, più precisamente secondo uno studioso locale, sotto la chiesa di Santa Maria del Pozzo a Somma Vesuviana. Il suo corso interessava la zona vesuviana, prima di raggiungere la zona tra le attuali via Pessina e via Medina, ovvero la striscia di terra che separò durante la prima fase di coesistenza e di prossimità, prima che i due abitati si unissero, la più antica Palepolis dalla successiva Neapolis. Se il nome, dal greco sepheitos, ovvero “che procede con regime impetuoso”, non indurrebbe a immaginarlo, si trattava anche di un fiume navigabile per una lungo tratto. E anche per questo, nei secoli a seguire, il fiume divinità fu una presenza importante e addirittura fondamentale per la vita della città greca in costante espansione.

Già nel Medio Evo, tuttavia, la sua portata si era notevolmente ridotta, tanto da non essere più navigabile e neppure decisivo per l’insediamento urbano, probabilmente a causa del terremoto del 1343 e del prosciugamento delle paludi del quadrante orientale della città. Nel XX secolo, poi, vennero definitivamente tombati gli ultimi tratti del suo corso che ancora restavano all’aperto.