Un pezzo di stoffa azzurra. Al risveglio, il vescovo Pomponio aveva ben chiaro il messaggio che gli era stato affidato dalla Madonna, venutagli in sogno durante la notte.
Dove avesse trovato quel segno, avrebbe dovuto erigere una chiesa in suo nome, per liberare una parte del centro antico della città, intorno piazza Miraglia, dall’infestazione del maiale diabolico.
Da tempo Pomponio era venuto a conoscenza del terrore che si stava diffondendo tra gli abitanti della zona. In tanti sostenevano di udire dei terrificanti grugniti che risuonavano nei vicoli appena calate le tenebre, tanto da non avere più il coraggio di uscire dalle case, di cui tenevano gli usci ben chiusi. Perché la bestia era associata ad una presenza maligna, che cercava di intrufolarsi tra loro. Non era in quella stessa zona, d’altra parte, che erano state smascherate delle streghe, delle dianare, janare nella lingua del popolo, dedite al culto di Diana? Proprio lì, nella piazza Miraglia, sorgeva anticamente il tempio della dea, di cui restavano i ruderi.
E su quei ruderi il vescovo Pomponio fece edificare il primo santuario dedicato alla Madonna a Napoli, la Basilica di Santa Maria Maggiore. Era il 533 e la chiesa divenne ben presto meta di fedeli da ogni parte della città. Nessuno aveva più sentito i grugniti del maiale e In tanti ora arrivavano per ottenere l’indulgenza davanti alla cosiddetta Pietra Santa con una croce incisa. Secondo la tradizione, era su di essa che Pomponio aveva trovato il panno azzurro del sogno.
Undici secoli dopo, la Basilica lungo il Decumano Maggiore subì danni ingentissimi da un terremoto nel 1656. Ma non trascorse molto tempo prima che venisse riedificata. A progettare il nuovo edificio fu il grande Cosimo Fanzago. I lavori furono ultimati nel 1678.
Una scalinata conduce all’ingresso dell’edificio barocco, dall’imponente facciata caratterizzata da un ordine di lesene sormontate da capitelli ionici, mentre le lesene dell’ordine superiore hanno perduto i capitelli corinzi, distrutti con il frontone originario dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che provocò enormi danni.
L’interno a croce greca è stato completamente restaurato negli anni ’70 del Novecento. Ma non vi è più traccia dei dipinti e degli arredi originari, fatta eccezione per delle sculture di Matteo Bottiglieri. Ė rimasto invece, splendido, il pavimento settecentesco di maiolica firmato dai riggiolari Giuseppe e Donato Massa, noti per essere gli artefici del famoso chiostro della chiesa di Santa Chiara.
L’edificio, dopo un lungo periodo di chiusura, è stato riaperto al pubblico con la funzione di auditorium e di spazio espositivo, il Lapis Museum, che accoglie mostre, in particolare di arte contemporanea.
Le suggestioni ipogee della Basilica
La Basilica restaurata e recuperata alla fruizione culturale rappresenta solo una parte dello stupefacente patrimonio custodito nel ventre di piazzetta Pietrasanta. Al di sotto dell’antico edificio sacro, si estende la cripta, che corrisponde al livello di una domus romana di cui sono evidenti alcuni tratti di muri in opus reticulatum
, blocchi di tufo e un pregevole mosaico di epoca imperiale.
Ancora più in profondità, nel secondo dei livelli sotterranei, è il regno dell’acqua. Lì i greci costruirono per primi delle grandi cisterne per la raccolta di acqua piovana, utilizzate anche in epoca romana, quando furono integrate nell’acquedotto cittadino. Quegli ampi ambienti ipogei durante l’ultima guerra mondiale furono utilizzati come rifugi antiaerei.
Le antiche cisterne restaurate e la rete di cunicoli collegata fanno oggi parte di un itinerario sotterraneo carico di suggestioni e prodigo di bellezza, che si dipana tra la Cisterna dei Pozzari, la Piscina del Principe, la Sala delle Lucerne e l’Archivio di Tufo.
Il Campanile
Camminando lungo via Tribunali, s’incontra uno dei monumenti antichi più particolari e interessanti del centro storico. Di primo acchito, si ha l’impressione si tratti di una torre, in realtà è il campanile della Basilica, che ha mantenuto, al contrario degli edifici tutt’intorno, la sua originaria impronta romanica in cui si ravvisano evidenti influssi bizantini.
A pianta quadrata, l’alta torre che s’innalza su quattro livelli e giganteggia tra gli edifici limitrofi, è stata datata da studi recenti tra il IX e il X secolo. La struttura, realizzata con mattoni all’interno dello spazio aperto alla base, che consentiva anticamente il passaggio prima che fosse rialzato il piano stradale, è arricchita proprio in quella parte più a vista da elementi decorativi marmorei di spoglio, provenienti dall’antico tempio romano. Tra tutti, si distinguono delle teste di grifo, l’animale mitico metà leone e metà aquila, simbolo del conflitto tra la natura umana e la natura divina.
La Cappella Pontano ad Arcum
Nell’anno che segnò il passaggio ad una nuova epoca, il 1492, Giovanni Gioviano Pontano poté finalmente rendere un degno omaggio alla sua amata sposa, Adriana Sassone, che aveva perduto due anni prima. Per lei, aveva ideato un monumento funebre, che ne ricordasse per sempre la presenza terrena, tra il Decumano Maggiore e la piccola via del Sole, con prospetto su piazzetta Pietrasanta. Proprio vicino al palazzo Vulcano (ora Palazzo Spinelli), dono di re Ferdinando d’Aragona per i suoi fedeli servigi, dove aveva vissuto momenti felici con la consorte e i loro figli.
Per realizzare l’idea, il celebre umanista della corte aragonese si era avvalso delle migliori maestranze. Su progetto attribuito a Francesco di Giorgio Martini o, forse, a fra’ Giovanni Giocondo, comunque il meglio che offriva Napoli a quel tempo.
Sul prospetto principale, caratterizzato dal rivestimento in piperno e da lesene con capitelli compositi, aveva voluto mettere la sua firma, il Pontano, esplicitando il suo pensiero filosofico su dodici lapidi con iscrizioni in latino. E sul portone d’ingresso aveva voluto che comparissero insieme gli stemmi della sua famiglia e di quella della moglie.
Epigrafi in greco e latino da lui composte sui grandi temi della vita erano installate anche all’interno, nell’unico ambiente a pianta rettangolare, coperto da una volta a botte e con un prezioso pavimento di formelle in maiolica, decorate con stemmi, ritratti e iscrizioni. In quel mausoleo di famiglia trovarono in seguito sepoltura i figli Lucio, Francesco e Lucia Marzia e poi gli amici Pietro Golino e Pietro Compare. E anche lui, nel 1503.
Nel 1759, poco prima di lasciare Napoli per la Spagna, Carlo di Borbone fece accuratamente restaurare la Cappella Pontano. Dove, tre secoli dopo l’inaugurazione, nel 1792 fu collocato un prezioso dipinto raffigurante la Madonna con Bambino e i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, attribuito a Francesco Cicino da Caiazzo.
La Cappella del Salvatore
A completare il complesso monumentale di Pietrasanta, incuneata tra Basilica e la Cappella Pontano, c’è la Cappella del Santissimo Salvatore, che risale al 1150. Nel Settecento subì, come quasi tutte le chiese di Napoli, un completo rinnovamento in linea con lo stile allora imperante. Furono inseriti così un magnifico pavimento di maiolica e pregiati marmi policromi, che abbellirono anche l’altare maggiore.
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