Si può considerare un altro capitolo della storia iniziata a Montevergine da frate Guglielmo da Vercelli, Santo protettore del’Irpinia.
Aveva da poco fondato l’ordine maschile dei Verginiani e il monastero sul monte del Partenio, quando decise di lasciare Montevergine e si diresse nella valle del Goleto, nei pressi di Sant’Angelo dei Lombardi. Lì trovò riparo in un tronco cavo, dove rimase per qualche tempo, fin quando non ebbe l’ispirazione di creare un nuovo monastero, destinato stavolta al ramo femminile dei Verginiani. Già in odore di santità, frate Guglielmo poté contare su donazioni e lasciti, grazie ai quali fu in grado di costruire il nuovo monastero di clausura su un terreno, anch’esso un dono, ricevuto dal signore normanno di Monticchio, Ruggero. Era il 1133 quando sorse il nucleo originario del complesso monastico intorno alla chiesa del Santissimo Salvatore con la facciata rivolta a occidente. Il monastero delle monache era collocato di fianco all’abside. Di lì a poco, davanti alla facciata, il fondatore decise di creare un altro piccolo monastero per i monaci incaricati del servizio liturgico e dell’amministrazione del complesso. Ben presto il Goleto divenne meta di pellegrinaggi da tutta l’Irpinia e la devozione popolare si manifestò ancor più dopo la morte del fondatore nel 1142, in ossequio alle sue spoglie che riposavano nella chiesa.
La crescita del Goleto, in seguito, fu dovuta alla capacità di alcune badesse, testimoniata dalle opere da loro promosse. La badessa Febronia ha legato il suo nome all’imponente torre di difesa del monastero innanzata nel 1152, un capolavoro di arte romanica. Per la costruzione furono utilizzati dei blocchi di marmo provenienti dal sepolcro di età romana di Marco Paccio Marcello. La struttura era a due piani, adorni di statue, e disponeva di un ponte levatoio.
Nel XIII secolo furono costruite due cappelle di grande pregio architettonico e artistico. Nota anche come “chiesa inferiore”, la Cappella funeraria del 1200 situata vicino alla basilica di San Salvatore era (è) in stile romanico pugliese. All’interno è divisa in due navate da colonne monolitiche dai capitelli bassi, dalle quali partono gli archi che reggono la volta a crociera con altre colonne inserite nei muri.
Su iniziativa della badessa Marina II nel 1255 vide la luce la Cappella di San Luca, o chiesa superiore, proprio per accogliere alcune reliquie dell’apostolo. Si tratta dell’edificio più significativo dell’intero complesso monastico: in stile gotico-pugliese, con richiami all’architettura cistercense, si raggiunge attraverso una scala esterna con un parapetto dotato di un corrimano a forma di serpente che tiene un pomo in bocca. Il portale d’ingresso è sormontato da un arco a sesto acuto e da un rosone a sei luci. Un’iscrizione ricorda che fu realizzato da Marina. L’interno è a pianta quadrata e due navate, coperte da crociere ogivali sorrette da due colonne centrali e da dieci mezze colonne incorporate nei muri perimetrali. A base ottagonale, le colonne centrali hanno capitelli con motivi di foglie che richiamano elementi di Castel del Monte. Delle ampie parti affrescate originarie oggi non restano che due medaglioni con le figure delle badesse e frammenti di scene della vita di San Guglielmo. All’esterno ci sono due piccole absidi sorrette da mensole e dei barbacani con teste di animali o motivi ornamentali.
Il periodo d’oro terminò nel 1348, l’anno della peste nera, dopo il quale iniziò una progressiva decadenza che spinse il papa Giulio II a decretare nel 1506 la soppressione del cenobio, avvenuta alla morte della badessa nel 1515. Il monastero fu affidato ai monaci di Montevergine, che lo tennero fino al 1807. Dopo il terremoto del 1732, che distrusse la chiesa del Santissimo Salvatore, tra il 1732 e il 1735 fu avviato un restauro e fu costruita una nuova chiesa su progetto di Domenico Antonio Vaccaro. La chiesa del Vaccaro, come fu chiamata, venne completata nel 1745. Con la soppressione degli ordini religiosi nel 1808, le spoglie di San Guglielmo furono traslate a Montevergine. E il complesso cadde in abbandono, mentre un incendio provocò altri danni.
Fu solo nel 1973 che arrivò al Goleto un nuovo eremita da Montevergine, il benedettino padre Lucio Maria de Marino, che cominciò da solo il recupero delle strutture. In seguito, fu realizzata un’opera di approfondito restauro curata dall’architetto Carmine Gambardella. Purtroppo, il crollo della cupola e degli archi della chiesa del Vaccaro, a causa del sisma del 1980, hanno lasciato scoperchiato l’edificio sacro, di cui però è stato recuperato il pregevole pavimento con una rosa octolobata al centro.
Il complesso del Goleto, curato oggi dai Piccoli Fratelli della comunità Jesus Carita, è tornato al suo splendore di un tempo e, con il suo fascino antico, offre ancora molta della bellezza originaria nelle cappelle, nei ruderi suggestivi della chiesa grande, nell’imponenza della torre Febronia.
Ph: Michele_Mastrosimone
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