Dall’alto dei campanili ai lati della facciata neoclassica della cattedrale intitolata alla Madonna Assunta, le statue dei patroni dominano la grande piazza, cuore della città di Nola.
C’è San Felice, nolano di nascita, e c’è San Paolino, a cui è dedicata la festa, antichissima, che dal 2013 è entrata nel Patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Merito degli imponenti obelischi di legno e cartapesta che ne sono protagonisti e che rientrano nella Rete delle macchine a spalla italiane riconosciute e tutelate dall’Unesco. Dall’Ottocento è quella la forma che hanno preso i gigli con cui diciassette secoli fa il popolo di Nola salutò il ritorno del suo amato Vescovo Paolino. L’evento che ancora viene ricordato ogni anno dall’intera comunità nolana, coinvolta nella sua preparazione nell’arco dei dodici mesi precedenti.
È un elemento fortemente identitario, la Festa dei Gigli, che si rinnova ogni 22 giugno e che attrae a Nola visitatori da ogni parte del mondo. Fulcro della manifestazione è la piazza Duomo, dove nella mattina del dì di festa arrivano gli otto “Gigli” alti venticinque metri e la barca, elementi fondamentali della solenne commemorazione di quel lontano, imprecisato giorno tra il 411 e il 412.
Un tripudio di gigli per il ritorno di Paolino
I nolani non speravano più di rivederlo vivo, il loro amatissimo Vescovo. Nel 409, Nola era stata vittima dell’invasione dei Goti guidati da Alarico, che avevano portato morte e distruzione. E per completare l’opera, avevano fatto prigionieri ventuno persone, tra cui il figlioletto di una vedova. Davanti a quell’ultimo oltraggio, Paolino, per cercare di salvare il bambino, consegnò tutti i suoi averi e sé stesso. Fu così condotto come schiavo in Algeria, dove iniziò a fare il giardiniere. Una notte sognò la morte del re e ne parlò al suo padrone, che lo condusse davanti al sovrano per raccontare la premonizione. Il re ne rimase tanto spaventato che, deciso ad allontanare quello schiavo, s’impegnò ad accettare qualunque sua richiesta. Paolino chiese di essere liberato con i suoi concittadini e ottenne la libertà. Sbarcato con gli altri suoi compagni di avventura - sulla spiaggia di Torre Annunziata, secondo un’altra ricostruzione tra storia e leggenda – Paolino fu accolto con grande entusiasmo. I membri delle corporazioni di arti e mestieri in prima fila, fu un tripudio di gigli per festeggiare il rientro del Vescovo sano e salvo.
Paolino, il Vescovo per volontà del popolo
Figlio del prefetto di Aquitania, Ponzio Meropio Paolino era nato nel 353-354 a Burdigala, l’odierna Bordeaux, e aveva ricevuto una solida istruzione e la preparazione adatta ad intraprendere il cursus honorum previsto dalla posizione della sua famiglia. Così a vent’anni era già senatore. Al termine dell’incarico, nel 379 era stato designato governatore della Campania, ma invece di stabilirsi a Capua, aveva scelto di andare a Nola, dove aveva delle proprietà. In quella città venne a conoscenza del radicato culto di San Felice nei luoghi in cui aveva vissuto. Al momento di lasciare Nola, con una cerimonia pagana si tagliò la barba, dedicando il gesto a San Felice. Tornò allora in Aquitania, dove si stabilì e dove, dopo averla conosciuta in Spagna durante un viaggio, condusse la giovane moglie Teresia, che era cristiana. Da lei ebbe un figlio, Celso, che morì a pochi giorni dalla nascita. Fu dopo questa tragedia che si avvicinò al cristianesimo fino alla conversione. Fu battezzato a trentacinque anni, donò le sue ricchezze e con la moglie si dedicarono alla vita monastica. Paolino intraprese la strada del sacerdozio e fu ordinato nel 393-395. Con Teresia tornarono a Nola, dove Paolino fondò un cenobio maschile e uno femminile, si dedicò a costruire una nuova chiesa per San Felice e alcune strutture per accogliere i pellegrini devoti al Santo nolano e fece molte opere di bene. Autore di un importante epistolario, scambiò lettere con Agostino di Ippona di cui fu amico. Si fece tanto amare dalla popolazione, che quella nel 409, sotto la minaccia dell’avanzata dei Goti, lo acclamò Vescovo. Poco dopo si consegnò come prigioniero ai barbari invasori.
Le reliquie e il culto nel Duomo
Dopo il ritorno, Paolino rimase a Nola, sempre più legato a San Felice, cui dedicava ogni anno, nel giorno della morte, uno dei suo “carmi natalizi”. E in quella città morì il 22 giugno 431. Il suo corpo, seppellito inizialmente nella basilica di San Felice, poi trasferito a Roma, fu definitivamente traslato nel duomo di Nola nel 1908, poco prima che la nuova chiesa, completamente ricostruita dopo l’incendio che nel febbraio 1861 aveva devastato l’antica cattedrale gotica, fosse inaugurata nel 1909.
Tra le poche vestigia sfuggite all’incendio, con la cripta e la cappella dell’immacolata, la ricostruita cattedrale ospita, all’interno, anche le statue lignee seicentesche di san Felice e di San Paolino, opere di Iacopo Bonavita e della sua bottega. Tra le sei cappelle della navata di sinistra delle tre che compongono la nuova cattedrale come quella antica, una è dedicata a San Paolino, con dipinti di Vincenzo Severino.
Sempre nel duomo è custodito il busto d’argento del Vescovo, che viene portato in processione il 22 giugno, nella giornata dei solenni e partecipati festeggiamenti annuali.
I giganteschi Gigli patrimonio dell’umanità
Elemento caratteristico della festa sono i Gigli, segno di devozione nei confronti del Santo, insieme alla barca, che ricorda il mezzo che lo riportò in Italia dopo la schiavitù. In origine, nel giorno della commemorazione della salita al cielo di Paolino, si utilizzavano proprio i fiori, tipici della stagione, che ne avevano salutato il ritorno a Nola. Poi si era passati ai ceri, a cui si sono sostituite nel tempo strutture in legno sempre più complesse e imponenti, fino ai giganteschi obelischi che del fiore originario conservano solo il nome. E di pari passo alla trasformazione dei gigli si è evoluto un cerimoniale sempre più elaborato e definito in tutti i particolari, che riguarda sia la fase preparatoria della festa sia la manifestazione clou del 22 giugno.
L’organizzazione dei festeggiamenti inizia a pochi giorni dall’archiviazione dell’edizione precedente. Fulcro è sempre la piazza Duomo, perché è nella sede municipale che si svolge la cerimonia dell’assegnazione del “giglio” al nuovo maestro di festa di ciascuna delle corporazioni che partecipano alla sfilata, sempre nel medesimo ordine: Ortolano, Salumiere, Bettoliere, Panettiere, Barca, Beccaio, Calzolaio, Fabbro e Sarto.
Il maestro di festa di ogni corporazione si occupa di iniziative per la raccolta dei fondi necessari, guida per quasi dodici mesi la nutrita squadra dei costruttori dei Gigli e sceglie gli uomini che dovranno farli sfilare.
Le macchine a spalla nolane sono formate da una struttura di base di pali di legno, che deve consentire di muovere la parte soprastante del “giglio” vero e proprio. Quello è composto da un’anima sempre di legno, “vestita” con stucchi decorativi di cartapesta, che rappresentano scene religiose, storiche o di attualità.
Il maestro di festa si occupa anche dell’organizzazione della sfilata di ciascun Giglio e sceglie gli uomini della “paranza” che dovranno farli muovere. Considerato il peso, che supera i venti quintali, la notevole altezza, la lunghezza della manifestazione e le difficoltà del lungo percorso, ci vogliono almeno 128 “cullatori” per ogni Giglio.
Il giorno dei Gigli
Tutto comincia in piazza davanti al Duomo, dove la mattina del 22 vengono portati gli otto Gigli e la barca, per la benedizione del Vescovo. Nel pomeriggio inizia la sfilata lungo un ampio itinerario prestabilito nel cuore della città. I “cullatori” muovono ondeggiando i singoli Gigli, seguendo il ritmo dei brani musicali appositamente scelti ed eseguiti dalla banda. L’itinerario presenta molti punti critici e impone altrettante prove di abilità alle “paranze”. Si va avanti per tutto il resto della giornata, fino alla mattina seguente. Quando il Giglio del Sarto, che chiude la sfilata, raggiunge la piazza, la festa ha fine e le strutture, “spogliate” delle decorazioni, vengono smontate.
Pochi giorni dopo, si comincia a lavorare alla nuova festa in onore del patrono di Nola, che dal 2016 è anche patrono secondario di tutta la Campania.
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