Sono la rievocazione dei percorsi degli antichi pellegrini sulle tracce di San Nilo, del suo maestro San Fantino e degli altri monaci orientali di rito greco.

In gran parte fedeli alla regola di San Basilio Magno, che, oltre a essersi stabiliti nelle Puglie, in Calabria e in Lucania, erano approdati numerosi anche sulle sponde cilentane della Campania in vari momenti e fasi storiche di questa parte della Penisola. I primi, giunti come cappellani militari al seguito dei generali Belisario e Narsete durante la guerra gotica tra Bisanzio e gli Ostrogoti, gli altri, i più, per sfuggire alla persecuzione iconoclasta nell’impero bizantino tra il 726 e l’843.
E nel Cilento, al confine tra le terre sotto il dominio bizantino e quelle conquistate dai Longobardi, trovarono condizioni favorevoli a mettere solide radici e a creare forti legami con le popolazioni locali, presso le quali svolgevano con fervore la loro missione religiosa unitamente alla divulgazione di nuove tecniche agricole, alla diffusione di nuovi attrezzi, alla messa a coltura di nuove terre, favorendo un grande sviluppo economico, un forte progresso delle comunità e anche un notevole incremento demografico. Un grande contributo di cui restano innumerevoli tracce, di fede e di storia, ovunque nei territori del Cilento e del Vallo di Diano in cui si spinse l’influenza dei monaci greci. E quelle tracce sono il filo rosso che unisce idealmente i luoghi dei Cammini di San Nilo e del Negro e quanti decidono di percorrerli.