Furono due artisti tedeschi a (ri)scoprire la Grotta Azzurra. Da tempo nessuno aveva più avuto il coraggio di accostarvisi.
Troppo misteriose e inquietanti erano le storie che si narravano e tramandavano su quella grotta marina, aperta sul versante nordoccidentale dell’isola. Storie ben conosciute anche dal notaio isolano, don Giuseppe Pagano, che ne era rimasto fortemente incuriosito.
E proprio della grotta gli capitò di parlare con i due ospiti stranieri appena approdati a Capri, in quell’estate del 1826. Contrariamente alla maggior parte dei forestieri, che si concedevano solo un’escursione giornaliera, il pittore Ernst Fries ed il poeta e scrittore August Kopisch, entrambi tedeschi, erano sbarcati sull’isola intenzionati a trascorrervi un lungo soggiorno per scoprirne e goderne tutte le bellezze. E avevano trovato alloggio presso la casa di don Giuseppe.
Grande, in collina e quindi con aria buona e fresca come refrigerio dalla calura estiva, la dimora del notaio offriva un’accoglienza familiare agli ospiti forestieri per cifre molto modeste e il padrone di casa era ben felice di far conoscere l’isola, attraverso i libri che metteva a disposizione, ma anche prestandosi ad accompagnarli in giro facendo egli stesso da guida. Fu con questo spirito che in una delle conversazioni serali dopo cena con i due tedeschi, propose loro un giro dell’isola in barca per il giorno dopo. E nel procedere del discorso, parlò loro anche di quella grotta in cui nessuno andava, che si diceva fosse abitata da spiriti maligni, prospettando la possibilità di recarvisi. L’idea fu accolta con entusiasmo dagli stranieri e si convenne, appunto, per il giorno dopo, tra la contrarietà delle donne di casa, che molto temevano quella gita.
La mattina dopo, il gruppo guidato da don Giuseppe e dal figlio Michele si imbarcò sulla barca di un pescatore, Angelo Ferraro detto il “Riccio”, mentre il fratello prete del notaio celebrava una messa per la salvezza del congiunto dai pericoli a cui andava incontro. Così il 17 agosto 1826, per la prima volta da quando se ne aveva memoria, degli uomini entrarono nella grotta misteriosa. Non senza difficoltà, perché l’ingresso era talmente basso che bisognò accucciarsi sul fondo della barca per riuscire a varcarlo. Ma la visita valse il piccolo disagio: la grotta si rivelò splendida, altro che spiriti maligni!
A colpire il gruppo fu il particolarissimo riflesso azzurro che illuminava l’antro marino. E ispirati da quella luce Kopisch e il suo amico suggerirono di ribattezzarla “Grotta Azzurra”, cancellando così il nome di Gradola con cui la indicavano i pescatori. Ci tornarono estasiati una seconda volta e Kopisch descrisse la sua meraviglia nel libro degli ospiti di don Giuseppe. Fu questi che colse subito il valore di quella scoperta, tanto da commissionare subito dopo la costruzione di una barca più piccola del normale per poter superare il piccolo ingresso.
Una descrizione di quella visita, Kopisch la affidò ad un saggio pubblicato solo nel 1838, che fece conoscere al mondo la bella grotta caprese, dove, nel frattempo, in quegli anni erano passati altri visitatori illustri e qualche scrittore. Un altro viaggiatore tedesco, Wilhelm Wablinger, ci ambientò il racconto Märchen von del blauen Grotte, Favola della Grotta Azzurra, e la grotta fu citata anche da Hans Christian Andersen nel suo Improvisator, Improvvisatore del 1835. Così la grotta divenne famosa, diventando una delle tappe obbligate del Grand Tour.
Solo molto tempo dopo quella che ormai era passata alla storia come la scoperta della Grotta Azzurra, si venne a sapere che nel passato la bellezza nascosta da quella caratteristica cavità carsica era già stata ammirata da occhi umani. I Romani vi avevano probabilmente ricavato un ninfeo marino, come nella grotta di Matermania nel versante meridionale. D’altra parte, sull’isola, al di sopra della grotta, si trovano i resti di una villa romana in località Gradola (come il nome precedente della grotta). E ancora più in alto soleva guardare il mare Tiberio dalla sua splendida villa Damecuta. E se oggi è proibito nuotare nella grotta, non è escluso che invece lo facesse proprio l’imperatore, che molto amava il nuoto, durante la sua lunga permanenza a Capri.
Testimonianza di quell’antica fruizione sono le due statue romane riportate alla luce dal fondale della grotta nel giugno 1964 e la terza statua con numerosi altri reperti, ritrovati in una successiva campagna di scavo dieci anni dopo. Delle statue intere, esposte ad Anacapri presso la cosiddetta Casa Rossa, una rappresenta Nettuno, le altre due il figlio del dio del mare, Tritone. Si è ipotizzato che altre sculture romane potrebbero ancora essere custodite dalla sabbia della grotta. Questa, peraltro, è in realtà formata da diversi ambienti, tra i quali la “Sala dei nomi”, dove i viaggiatori stranieri del Grand Tour incisero i loro nomi, e la “Sala della Corrosione”, oltre a vari cunicoli sopra e sotto il mare, uno dei quali si collega alla vicina Grotta dei Guarracini.
Di questo complesso carsico è attualmente visitabile solo il primo e più famoso ambiente, al quale un fenomeno di rifrazione dona il caratteristico e affascinante riflesso azzurro. È quello il cosiddetto Duomo Azzurro, l’unico che accoglie i visitatori con i suoi 22 metri di profondità, 25 di larghezza, 60 di lunghezza e un’altezza che varia dai 7 ai 14 metri. Di ben altre dimensioni è, invece, la fessura da cui si entra con appena un metro al di sopra del pelo dell’acqua. Perciò è ancora oggi necessario sdraiarsi sul fondo della barca come fecero Kopisch e i suoi compagni d’avventura, mentre l’imbarcazione procede lentamente, trainata da una corda posta all’ingresso. Pochi istanti di attesa emozionata, prima di potersi rialzare per ammirare il riflesso blu. Altri cinque minuti di meraviglia, prima di tornare al mondo reale.
Ph: Andrea Santini
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