Nel Sannio, terra di transumanza, gli allevamenti di bovini, di razza podolica in particolare, di ovini, caprini e bufale, oltre alle carni, offrono latte per formaggi a metro zero.
Il caratteristico caciocavallo può essere il pregiato podolico, di bufala, affumicato o quello, unico, di Castelfranco e degli altri paesi della valle del Miscano, lavorato dal latte delle vacche di razza Bruna. Senza trascurare il caciocavallo “impiccato” di Apice. Poi le provole, di vacca e di bufala, anche affumicate. E le scamosciate, stracciate e trecce, senza dimenticare le ricotte, fresca e essiccata, di mucca, bufala, capra e pecora. A proposito di pecore, questa è terra di Laticauda…
La Laticauda, la pecora dalla coda grossa (lata cauda) bruca sulle colline sannite da quasi tre secoli, frutto di un incrocio tra la pecora Appenninica autoctona e la pecora Berbera o Barbaresca, importata all’epoca di Carlo III di Borbone. Dal Napoletano la nuova razza si era poi diffusa nel Sannio, in Irpinia e in parte del Casertano. E in queste aree, dopo essere stata sull’orlo dell’estinzione, è stata recuperata grazie a piccoli allevamenti familiari finalizzati alla produzione casearia. Dal latte della bianca pecora dalla coda grossa si ottiene il famoso pecorino di Laticauda, Pat campano, venduto fresco, semistagionato o stagionato tra i 4 e i 12 mesi. A renderlo speciale sono le varie erbe di montagna di cui si nutre la Laticauda, tra le quali in particolare il trifoglio ladino. Che contribuisce anche al sapore speciale della sua rinomata ricotta.
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