Servono oltre quattro litri di latte per ottenere un chilo di mozzarella di bufala. È una presenza almeno millenaria, quella delle preziose bufale in Campania.
Almeno, perché c’è anche chi sostiene che la loro storia nella Penisola possa arretrare fino all’epoca romana e addirittura greca. Anche l’opinione prevalente di una introduzione più recente, tuttavia, si differenzia nell’individuare gli artefici di quella novità o nei Longobardi o nei Normanni, che avrebbero portato anche in Campania quei particolari bovidi dalla Sicilia, dove erano giunti con gli Arabi. Quest’ultima tesi si collega alla formazione, ormai compiuta nell’XI secolo, delle grandi paludi costiere corrispondenti alle pianure formate, a nord, dal Volturno e, a sud, dal Sele. Dunque, di sicuro in epoca normanna le bufale popolavano sempre più numerose le aree della Campania che ancora oggi si distinguono per la grande produzione di latte bufalino e dei suoi numerosi derivati, a cominciare dal più famoso nel mondo: la mozzarella.
Le prime testimonianze scritte relative alle bufale risalgono al XII secolo. In esse si fa riferimento alla consuetudine dei frati dell’abbazia di San Lorenzo a Capua di donare dei piccoli formaggi con del pane ai pellegrini che si recavano in processione ogni anno al loro convento. Quei formaggi di latte di bufala venivano chiamati “mozze” oppure “provature” quando erano leggermente affumicati. Da quel primo nucleo, l’allevamento delle bufale e la trasformazione del loro latte si estese fino ad Aversa e al Salernitano, che rimasero a lungo gli unici mercati in cui venivano commercializzate le “mozze”, giacchè la loro facile deperibilità era di impedimento per trasportarle altrove. Per questo stesso motivo, allora erano più diffuse “provature” e provole a cui l’affumicatura assicurava una durata maggiore.
Il processo produttivo conobbe una prima svolta nel XV secolo, quando si cominciarono a differenziare gli spazi della mungitura da quelli della preparazione dei formaggi, spostata nelle “bufalare”, che erano dei capanni di paglia, fango e muratura, dotati di un camino circolare, necessario per scaldare la pasta filata, prima di mozzarla con le mani. Intanto, la produzione continuava a crescere e i formaggi di bufala a diffondersi al di là delle zone di produzione. Tanto che nel 1570 il neologismo mozzarella venne usato per la prima volta da Bartolomeo Scappi, cuoco di fama nella Roma papalina.
Il periodo d’oro della mozzarella e delle leccornie a base di latte bufalino coincise con il regno borbonico. Furono i Borbone, molto attenti a incrementare le produzioni agricole e pastorali nel regno, a dar vita alla prima industria di trasformazione del latte delle bufale nel sito reale di Carditello. Lì, per volontà del re Ferdinando IV, fu impiantata nel 1750 un’azienda all’avanguardia, la Real Masseria La Bufalaria, dove vennero sperimentati anche incroci per migliorare la qualità del latte usato per le mozzarelle. Tutto documentato dal primo registro bufalino della storia, nel quale tutti i capi erano descritti e avevano un nome, corrispondente a qualche personalità della corte.
La Campania Felix e la piana del Sele erano le due aree produttive da cui mozzarelle e provole cominciarono a diffondersi. E per far fronte all’aumento della richiesta furono impiantati altri allevamenti fino ai dintorni della capitale. Tra Sette e Ottocento, le bufale brucavano sempre più numerose anche ai Camaldoli, ad Ancarano, a Piscinola e nella vaccheria di Capodimonte, insieme ad altri animali da latte. Intanto, grazie alla ferrovia, le mozzarelle della piana del Sele potevano raggiungere anche altre parti del regno.
Da quella crisi iniziò una fase di progressivo recupero che nel 1996 ha portato al riconoscimento a livello europeo della Mozzarella di Bufala Campana Dop, il formaggio fresco a pasta filata famoso in tutto mondo, tra le specialità indiscusse della terra campana. L’abilità dei casari campani produce varie pezzature e versioni della delizia bianca: bocconcini, ciliegine, perline, nodini, ovoline, treccine e trecce dai 10 agli 800 grammi, fino ai 3 chili delle trecce. Dal latte di bufala si ricavano anche la ricotta di bufala campana DOP e il burrino e burrata di bufala, ovvero una sfoglia di formaggio di bufala con pallina di burro al centro.
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