Legumi, verdure, formaggi, fichi e olio d’oliva: c’è la salute nei piatti cilentani
Nelle campagne e nel mare azzurro del Cilento è scritto il manuale della dieta mediterranea. Nella versione che si è tramandata per secoli, con la semplicità delle abitudini di famiglia e di comunità e l’inconsapevolezza delle sue enormi ricadute e potenzialità. Fin quando uno studioso americano non le ha rivelate al mondo, donando nuovi significati a gesti antichi, competenze consolidate, sapori quotidiani. Divenuti patrimonio dell’Umanità, dunque da raccomandare e replicare anche lontano dalla terra da cui hanno avuto origine e ispirazione. Ma è solo in quel territorio, però, che si trovano i prodotti che hanno generato e rafforzato le abitudini alimentari promosse come virtuose. Eccellenze dell’agricoltura e della pesca, ma anche eccellenze frutto della lavorazione e trasformazione delle materie prime peculiari delle diverse zone di un territorio estremamente vario e generoso, dalla sommità dei monti Alburni fino alla fascia costiera e alle risorse del mare.
Tra i punti di forza dell’alimentazione mediterranea, a farla da padrone è il pesce azzurro, con predominanza indiscutibile delle alici. Cucinate arrecanate, in tortiera o ‘mbuttunate, ovvero imbottite con uova e caprino prima di essere fritte. Diverso il destino delle alici di menaica, che prendono il nome dalla rete speciale e fortemente selettiva con cui si catturano soprattutto nella zona di Pisciotta. Appena pescate, sono le acciughe che finiscono sotto sale, invece di essere usate per il consumo fresco come tanti altri pesci: tonni, pesci spada, orate, cernie. Fondamentale il connubio con l’olio extra vergine di qualità. E il Cilento, dove l’ulivo arrivò con i Greci nel IV secolo a.C., ha un DOP dal 1998 dalle olive raccolte in 62 Comuni del Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Tre le diverse zone di produzione cilentane a cui corrispondono cultivar differenti: la specie più antica, la Pisciottana, nel sud, la Rotondella e la Salella a ovest, l’Ogliarola, la Frantoio e la Leccino nel resto della regione. Ottime le olive di specie Salella conservate in salamoia, dopo averle battute con pietre di mare e snocciolate.
L’olio è il principe dei condimenti, capace di esaltare i sapori peculiari degli ortaggi cilentani. I carciofi innanzitutto: il Carciofo bianco del Tanagro, coltivato nei terreni di Pertosa e di Auletta, senza spine e chiaro, da gustare crudo in fettine sottili; e il famoso Tondo di Paestum, il primo della grande famiglia dei romaneschi a entrare in produzione nel corso dell’anno. Iniziarono a coltivarlo degli agricoltori napoletani nei terreni all’ombra dei templi di Poseidonia, in epoca borbonica e ora è diffuso in tutta la piana del Sele. Ogni anno Gromola, una frazione di Capaccio/Paestum, ospita una sagra tra aprile e maggio.
Non possono mancare i pomodori. Il Corbarino Dop che cresce tra le viti, ottimo nei piatti di pesce, e il pomodoro giallo, molto dolce e supervitaminico.
Molto pregiati, i legumi cilentani primeggiano in varie ricette tipiche. Il famoso fagiolo di Controne, che cresce all’ombra degli Alburni, rotondo, bianchissimo, dalla buccia sottile. E il fagiolo bianco della Regina di Montano Antilia. Tra le cento specialità alimentari italiane da salvare secondo Slow Food. E poi i ceci, compagni di zuppa delle lagane, prodotti a Finucchito, dall’alto contenuto proteico, e a Cicerale, ideali per zuppe e creme. In abbinamento con la non meno rinomata cipolla di Vatolla.
Nei pascoli delle valli e sulle alture brucano pecore e capre. Dal loro latte mischiato nasce il tipico cacioricotta, che diventa unicamente di capra tra giugno e agosto quando le pecore non danno latte. Dopo una breve stagionatura, può essere consumato, preferibilmente grattugiato sui fusilli al sugo. Tipico del basso Cilento è il caciocavallo podolico e il burrino chiamato “manteca”. Come la Campania felix, anche il Cilento è terra di produzione della Mozzarella campana dop, con il latte delle bufale che dona al morbido formaggio bianco l’aroma dell’erba fresca. E’ invece di latte vaccino la mozzarella inda ‘a mortedda, caratteristica del basso Cilento, dove usano avvolgerla in rametti di mirto dai quali trae un delicatissimo sapore.
Dall’XI secolo Gioi Cilento lega il suo nome alla soppressata che è l’unico salume lardellato della Campania. Molto apprezzato il prosciutto di Casaletto Spartano da carne di suini allevati con ghiande e il contributo decisivo dell’aria del paese per la stagionatura. E con formaggi e salumi non può mancare un ottimo pane di grani antichi e nobili, come il quello di Rofrano, che diffonde le sue fragranze nel borgo ai piedi del monte Cervati. O i taralli di casa.
Le escursioni sugli Alburni regalano incontri speciali nelle diverse stagioni. In autunno, sono il regno di dei funghi: porcinoi, chiodini, mazze di tamburo, ovuli, galletti, gallinacci, le orecchiette o geloni, ditole o manette, prugnoli o musciaruli. Mentre in primavera e estate il sottobosco è prodigo di fragoline di bosco, ribes, more, lamponi, oltre a varie aromatiche, profumate distese di camomilla e finocchio selvatico.
Dolci tipici sono i murzeletti, i mestacciuoli e gli scauratielli, fatti con la pasta bollita prima di essere spianata, tagliata a striscioline, fritta e ricoperta da miele cilentano.
Una vera delizia tipica è il fico bianco del Cilento Igp. A diffondere il generoso albero furono i Greci nel VI secolo, ma anche i Romani erano ghiotti dei suoi dolcissimi fichi. Da Agropoli al Bussento, oggi sono 68 i Comuni nelle cui campagne sono disseminati alberi della cultivar Dottato. I frutti, dopo essere sottoposti all’essicazione, perlopiù naurale al sole, mostrano una buccia bianca caratteristica. A quel punto sono pronti per varie lavorazioni tradizionali: coperti di zucchero o di cioccolato fondente, immersi nel rhum e ‘mbuttunati, cioè ripieni di mandorle , noci e nocciole e bucce di agrumi, o “steccati” in coppie.
Ad annaffiare degnamente queste prelibatezze della tavola sono i vini cilentani. Le viti portate dai Greci a Elea e Paestum, sono all’origine delle due Doc: Cilento e San Lorenzo.
Nel Cilento alle radici della Dieta Mediterranea
“Un insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola”. Con questa motivazione, il 16 novembre 2010, la Dieta Mediterranea fu inserita dall’Unesco nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Nell’occasione, fu approvata la Rete delle Comunità della Dieta Mediterranea Unesco e varata la Carta dei valori, frutto del lavoro del teorico di quel particolare regime alimentare e dei suoi benefici: il biologo Ancel Keys.
Nel corso delle sue ricerche sulla diffusione delle malattie cardiovascolari in sette nazioni di quattro continenti, confluite nel famoso Seven Country Study, il professore statunitense individuò una località nel sud dell’Italia, nel comune di Pollica, dove vi era un’alta percentuale di centenari e, al contempo, risultava più bassa l’incidenza di malattie cardiovascolari, ictus e casi di Alzheimer. Con la moglie Margareth, Keys acquistò una casa nella frazione di Pioppi e vi si stabilì per proseguire i suoi studi, a cui si aggiunsero i colleghi Martti Karvonen, Flaminio Fidanza e Jeremiah Stamler. In quella comunità dalle abitudini semplici, osservarono un consumo giornaliero di pane, pasta, moltissimi legumi e verdure, pesce e pochissima carne, frutta fresca e, solo poche volte a settimana, dolci con zuccheri raffinati e miele e il vino bevuto moderatamente durante i pasti. L’olio extra vergine d’oliva era l’unica fonte di grassi. Per Keys questo regime alimentare era all’origine della longevità e della scarsa diffusione di certe malattie fra gli abitanti. La teoria identificò sette comunità emblematiche della Dieta Mediterranea in Italia, Grecia, Spagna, Marocco, Cipro, Croazia e Portogallo. E l’opera dell’americano diede grande notorietà alle abitudini alimentari tradizionali dei cilentani e delle altre popolazioni mediterranee. Fino all’importante riconoscimento dell’Unesco.
Keys visse a Pioppi per quarant’anni, prima di tornare negli Stati Uniti, dove morì pochi mesi dopo, superati i cento anni. La Dieta Mediterranea aveva assicurato la sua salutare protezione anche a colui che l’aveva rivelata al mondo.
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Il riposo è solo apparente. La terra, che anche quest’anno è stata generosa, si prepara ad accogliere i semi delle erbe primaverili tra i filari di viti già quasi spoglie.
LA RICETTA
Lagane e ceci
Acqua e farina, l’impasto più semplice. Già gli antichi Greci ne ricavavano delle strisce di pasta che chiamavano làgaron. Molti secoli più tardi, la farina fu sostituita da semola di grano duro e quelle strisce di pasta, asciugate rigorosamente all’aria, diventarono le lagane, protagoniste, in abbinamento ai ceci, di uno dei piatti forti della cucina campana, cilentana in particolare.
I ceci secchi – ideali quelli di Cicerale - vanno messi a bagno 24 ore prima con acqua abbondante e un pizzico di bicarbonato. Si prepara l’impasto di acqua, semola e sale per le lagane fino a formare una palla. Si tira la sfoglia, per trarne strisce da 15-18 cm di lunghezza e circa 2,5 di larghezza, che vanno messe ad asciugare per circa un’ora.
Si fa soffriggere uno spicchio d’aglio sbucciato e un poco schiacciato con 2-3 cucchiai di olio extra vergine di oliva per un minuto, poi si aggiunge una manciata di pomodorini lavati e tagliati a metà. Si lascia insaporire, poi si aggiungono i ceci, che vanno fatti rosolare un minuto, prima di aggiungere due bicchieri d’acqua, facendo stufare i ceci per altri 20 minuti.
Messi da parte due cucchiai di ceci interi, si aggiunge un altro bicchiere d’acqua per far cuocere altri dieci minuti. Il consiglio è di utilizzare una pentola larga, per aggiungere le lagane al composto acquoso, facendo proseguire per altri tre-quattro minuti la cottura a fuoco basso, badando che la minestra avvolga le lagane senza girare, ma ruotando la pentola. Ancora qualche altro minuto finchè la pasta si rapprende, si gira una volta, si aggiusta di sale e si fa cuocere un altro minuto. A fine cottura, si aggiungono i ceci lasciati da parte, un filo d’olio a crudo e si serve in tavola un piatto antico, saporito, che è anche un perfetto esempio di dieta mediterranea.
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