L’origine è probabilmente araba, con una diffusione che dalla Sicilia si è poi spostata verso nord, fino a trovare in Campania un luogo ideale di produzione e di rielaborazione creativa.

Tanto che il fusillo è diventato uno dei formati di pasta più caratteristici della regione, con variazioni significative che lo legano ad aree specifiche, dove si è affermato come prodotto simbolo, protagonista di alcuni dei piatti più iconici della tradizione locale.

Da una zona all’altra varia la lista degli ingredienti e delle tipologie digrano utilizzate, variano le lunghezze e lo spessore, variano le ricette e i sughi in abbinamento a seconda delle produzioni tipiche dei territori e del gusto individuale e familiare. Variano anche il nome e le caratteristiche del ferretto usato per ottenere i maccheroni forse più rappresentativi del Sud, ma c’è un elemento, imprescindibile, comune a tutte le realtà: la grande abilità – e pazienza - richiesta per la lavorazione della pasta in tutte le fasi, frutto di una sapienza antica, tramandata di generazione in generazione attraverso i secoli, in linea femminile, fino a diventare un vero e proprio patrimonio di famiglia. 

Altra particolarità è l’uso del ferretto, di vario spessore e lunghezza, ma quasi sempre a diametro quadrato. Un tempo si usavano le stecche di ferro degli ombrelli o i ferri per lavorare la lana, poi abbandonati per oggetti in ferro e oggi in acciaio realizzati appositamente da artigiani. Ma, così come i “segreti” della lavorazione della pasta, anche i ferretti sono spesso tramandati in famiglia.

Sebbene siano prodotti in ogni zona della Campania, a cominciare dalla famosissima Gragnano, alcune tipologie di fusilli sono talmente caratteristiche di specifici paesi e territori da essersi guadagnate, con la loro particolare rinomanza, anche il riconoscimento regionale come Prodotti Agroalimentari Tipici (PAT). 

I Fusilli avellinesi

Sono la pasta della domenica e, in generale del giorno di festa, sulle mense di tanti irpini, residenti nelle più diverse località della provincia. Anche se il Fusillo PAT ha come area ufficiale di produzione quella di Serino, Santo Stefano del Sole, San Michele di Serino, Santa Lucia di Serino, Atripalda, Cesinali Aiello del Sabato. Tra le piccole variazioni sul tema elaborate da ogni comunità, elemento unificante della lavorazione è che deve essere rigorosamente a mano. Partendo, nella terra del grano, dall’ingrediente principale, ovvero la farina di grano duro, anche con l’aggiunta di semola, sempre di grano duro, a cui si aggiunge acqua calda. Inizia poi la delicata fase della lavorazione per ricavare dei pezzi di pasta cilindrici lunghi circa 5 centimetri, di color giallo tenue, che vanno poi schiacciati con il “fuso” con un abile movimento dal basso verso l’alto, in modo da ottenere la tipica forma di elica avvitata e un allungamento fino a circa sette centimetri. Sfilati, i fusilli vengono messi ad asciugare all’aria per qualche ora, a seconda del grado di umidità della pasta e del clima esterno. Che siano ben asciutti prima di tuffarli in abbondante acqua bollente salata, è necessario per una cottura ottimale. 

Il nome fuso, che poi è alla base della denominazione del formato di pasta, deriva dalla somiglianza del ferretto con i fusi del telaio, da cui deriva.

I fusilli irpini vengono conditi con vari sughi di carne, rossi o bianchi, anche con l’aggiunta di funghi, o con pomodoro fresco in piena estate. Diffusa è anche la ricetta dei “fusilli in tegamino”, con pomodoro, basilico e mozzarella filante.

I Fusilli di Felitto 

Ė una zona di produzione biologica di grani di qualità, collinari e montani, ideali anche per la produzione della pasta. Che con cinque secoli di storia è diventata la produzione tipica di punta di Felitto e dintorni. Non una pasta qualsiasi, ma il fusillo, che trionfa sulla tavola nelle feste più importanti dell’anno come Natale, Pasqua, la festività della Madonna e del patrono San Vito e il periodo di Carnevale. Proprio al Martedì Grasso è legata l’antica usanza di mettere da parte un piatto di fusilli da dare in pasto il giorno delle Ceneri alle galline, per un rito propiziatorio che le renda più produttive. Le uova, d’altra parte, ottenute da allevamenti anch’essi biologici, sono l’altro ingrediente fondamentale della pasta felittese. Quello che differenzia il fusillo locale da quello delle altre zone della Campania. E di uova ce ne vogliono tante, ben sei o otto per chilo di semola di grano duro, perlopiù della varietà Senatore Cappelli. 

La leggenda riconduce l’origine della pasta di Felitto al XVI secolo, quando, durante un lungo assedio, il comandante del borgo chiese alle donne di cucinare qualcosa di sostanzioso con quel che avevano a disposizione e così loro, con le uova e la semola, essendo troppo scarsa e preziosa l’acqua, riuscirono a fare per la prima volta i maccheroni bucati lunghi chiamati fusilli.

L’impasto, dunque, non comprende l’acqua, solo semola e uova, e va lavorato a lungo, con perizia, ungendo le mani con olio extra vergine di oliva locale nell’ultima fase, fino ad ottenere maccheroni cilindrici, di un inteso colore giallo, lunghi intorno ai venti centimetri e poco spessi, che vanno ulteriormente lavorati uno per uno, con un procedimento, la cingolatura, che prevede l’uso di un ferro di acciaio molto sottile, a sezione quadrata. Al termine, si ottiene ‘u fusillu, che non è attorcigliato, ma disteso, lungo fino a 25/32 centimetri, e forato. L’asciugatura avviene su tovaglie di lino, prima della cottura in acqua salata. La pasta porosa assorbe perfettamente i condimenti, che possono essere i più vari, a base di carne e anche di pesce. La tradizione locale proporne un sugo di carne di castrato di capra e l’aggiunta di pecorino o cacioricotta di capra cilentana prima di servire in tavola.

Ogni mese di agosto, a Felitto si organizza la Sagra del Fusillo Felittese, che è anche un presidio Slow Food.

I Fusilli di Gioi

Anche l’origine dei “fusiddi” di Gioi come di quelli di Felitto, entrambi cilentani, avrebbe a che fare secondo la leggenda con un lungo assedio subito qualche secolo fa. E da allora, in linea con quanto avviene nelle altre zone di produzione in Campania, la capacità di farli si è tramandata nel tempo nelle famiglie fino ai giorni nostri. Con l’ausilio di un ferro a sezione quadrata intorno al quale si attorcigliano i ritagli di pasta, fino a formare un fusillo di una quindicina di centimetri che, una svolta liberato dal ferretto, conserva un vuoto all’interno, ideale per accogliere i sughi a cui di solito la pasta, anche molto porosa, viene abbinata. Perlopiù un ricco ragù di carne, ma il formato si presta anche al matrimonio con altri condimenti. Il fusillo detto di Gioi è patrimonio anche di altri centri vicini come Orria, Salento, Stio, Campora, Magliano Vetere, Monteforte Cilento, Perito e Moio della Civitella

I Fusilli furitani di Minori 

Solo tre ingredienti e tanta passione sono il “segreto” dei fusilli nella versione di Minori e, in generale, della Costiera Amalfitana. La semola di grano duro, l’acqua e poco sale sono gli elementi base da cui una sapiente lavorazione domestica ricava una sfoglia di pasta, spessa circa mezzo millimetro, che viene divisa in bastoncini da avvolgere attorno a un apposito ferro, in questo caso tondo e molto sottile. Ci vuole esperienza e buona manualità anche nella modalità di avvolgimento a spirale della pasta, per arrivare a ottenere quelli che vengono chiamati in dialetto “ricci” o “riccioli” se sono più corti o “fusilli furitani” quando sono lunghi.  Dopo l’operazione, vengono distesi a riposare su un letto di semola, affinchè restino separati e si asciughino prima della cottura. Sono solitamente conditi con sughi di carne, ma anche di pesce e ai frutti di mare nel rispetto della tradizione marinara della Costiera