Ferdinando II di Borbone Figlio di Francesco I, nacque a Palermo il 12 gennaio 1810 quando la corte borbonica era in Sicilia a causa dell’occupazione francese di Napoli. Salì al trono del Regno delle Due Sicilie a vent’anni, l’8 novembre 1830, nel 1832 sposò Maria Cristina di Savoia, che morì di febbre puerperale dopo aver dato alla luce l’atteso erede Francesco.
In seconde nozze si legò all’arciduchessa d’Austria, Maria Teresa, che gli diede dodici figli. Nel primo decennio di regno si distinse dal nonno e dal padre per provvedimenti da sovrano illuminato, perfino vicino alle istanze liberali tanto che concesse l’amnistia ai prigionieri politici, e per riforme molto avanzate a livello amministrativo ed economico. Fu molto attento alla gestione delle risorse statali, ridusse in modo significativo le spese dello stato e della corte, compreso il suo appannaggio, e quelle militari, mentre investì in innovazioni che contribuirono a rilanciare l’economia, a rafforzare il sistema industriale con nuove produzioni, con l’ampliamento dei cantieri navali di Castellammare e la fabbrica di Pietrarsa, con la sottrazione dell’estrazione dello zolfo in Sicilia dal monopolio inglese. In Sicilia nel 1841 promosse anche l’eversione dalla feudalità. Forte impulso fu dato alle opere pubbliche e alla realizzazione di infrastrutture: oltre alla prima linea ferroviaria Napoli-Portici inaugurata nel 1839, i ponti in ferro sul Garigliano e sul Calore, il porto di Ischia nel 1854, strade e collegamenti che favorirono i commerci, sostenuti anche da vari accordi commerciali con stati stranieri, la bonifica del Fucino e del Tavoliere delle Puglie, che rese coltivabili ampie porzioni di territorio. E a Napoli il corso Maria Teresa (oggi Vittorio Emanuele), l’illuminazione a gas e il cimitero di Poggioreale. Nonostante questi primi segnali incoraggianti per i liberali, che avevano inizialmente ravvisato in lui il possibile riferimento per il processo di unificazione dell’Italia, dopo il primo decennio di aperture, seguì un ritorno su posizioni assolutistiche sempre più accentuate accompagnate da provvedimenti via via repressivi di ogni libertà.
Nel gennaio 1848, la rivolta di Palermo fortemente connotata di indipendentismo spinse il re a concedere la costituzione, che però non impedì che la Sicilia si proclamasse indipendente già il 27 marzo, proprio mentre tutta l’Europa viveva una stagione di forti cambiamenti e sommovimenti politici e in Francia veniva proclamata la repubblica. Sempre a marzo, il Piemonte aveva dichiarato guerra all’Austria, dando inizio alla Prima guerra d’Indipendenza, a cui aderì anche il regno borbonico, che il 7 aprile dichiarò guerra all’Austria. In maggio, ogni possibilità di mediazione tra liberali e governo regio fallì, dando il via alla rivolta nelle strade di Napoli, che fu repressa nel sangue. Ma la costituzione non fu ritirata e si tennero nuove elezioni che portarono all’elezione di un nuovo parlamento. Intanto, però, Ferdinando aveva ritirato le truppe impegnate a nord nella guerra contro l’Austria e si era sfilato anche dalla trattativa diplomatica per la formazione di una lega degli Stati italiani. L’estate fu segnata dalle azioni militari in Sicilia, culminate nel bombardamento di Messina che guadagnò a Ferdinando il soprannome di Re Bomba. Dopo alterne vicende e tentativi di mediazione, l’offensiva lanciata dalle truppe borboniche portò nel maggio 1849 alla fine della secessione della Sicilia. Ormai concentrato a difendere a ogni costo il potere assoluto e l’indipendenza del regno, sempre più isolato a livello europeo anche per l’azione dei liberali esiliati all’estero, osteggiato soprattutto dall’Inghilterra intenzionata a evitare qualsiasi forma di concorrenza nel Mediterraneo, Ferdinando virò verso una gestione del potere non meno conservatrice e repressiva di quanto non fosse stata quella dei suoi predecessori, pur avendo inizialmente chiamato al vertice del governo un ex aderente alla Repubblica Napoletana e poi murattiano, Giustino Fortunato. L’8 dicembre 1856, dopo la messa, il re venne ferito con una baionetta da un soldato mazziniano intenzionato ad ucciderlo. La ferita, mai completamente sanata, fu la causa di una setticemia che tre anni dopo, il 22 maggio 1859 a Caserta, lo portò alla morte.
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