Le ininterrotte distese verdi, esaltate dalla proverbiale luminosità del cielo lusitano, li avevano accompagnati per chilometri.
E avevano riservato subito un’accoglienza familiare e rassicurante agli sguardi allenati fin dall’infanzia a riconoscere gli alberi di agrumi e i fichi, onnipresenti nei terreni dei nonni sull’isola d’Ischia.

def.jpgGià il paesaggio di quest’altra terra del sud, l’Algarve, aveva trasmesso ad Anna e Alessandro la sensazione di essere sulla strada buona mentre si avvicinavano al piccolo villaggio della Serra. Ci avevano messo un po’ a individuarlo, dopo altri viaggi e sopralluoghi senza l’esito atteso. Ma come avrebbe potuto non essere il posto giusto quello che contava un numero di distillerie artigianali da record?

A viaggiare Anna e Alessandro, con lo stesso cognome - Buono - senza essere parenti, avevano cominciato quando, subito dopo il diploma, avevano lasciato l’isola madre per crearsi professionalità e prospettive in “continente”. Con la laurea in architettura lei e gli studi di economia legata al turismo e di storia lui, non avevano trascurato nessuna opportunità di crescita si offrisse, nei rispettivi campi, in giro per l’Europa. E, senza conoscersi, si erano parallelamente fermati, per diversi anni a ogni tappa, a Londra e in Spagna, portando avanti i loro sogni e le loro carriere. Poi Anna si era spostata a Lisbona, in uno studio di architettura dedicato al recupero di edifici antichi e Alessandro era tornato a Ischia per seguire l’attività familiare nel campo della ristorazione. E proprio sull’isola del ritorno, a una festa di Capodanno, dovevano incontrarsi e trovarsi. Per iniziare a fare progetti di vita comuni, fondendo le esperienze, le conoscenze e la voglia di mettersi in gioco acquisite separatamente.

L’inizio insieme era stato a Lisbona, al centro del Portogallo dove Alessandro, legato per familiarità alla cultura del vino, aveva preso ad interessarsi di distillati particolari. Complice il bagaglio di profumi, ricordi e storie legati alla lavorazione dell’uva e dei frutti della campagna ischitana e alla narrazione dei nonni, aveva preso poco a poco forma un’idea, diventata ben presto un progetto e un’esigenza condivisi con Anna: un nuovo viaggio, con una forte connotazione culturale, alla ricerca di produzioni originali in territori circoscritti e dalla spiccata identità. Ovviamente, legate ai prodotti della terra. Portoghese, ma anche ischitana. Come il fico, tanto diffuso nell’una e nell’altra, eppure quasi assente nei liquori. Quasi, perché qualcuno invece lo utilizzava in Portogallo. E quella ricerca, dopo qualche esplorazione a vuoto, aveva indirizzato i due giovani curiosi al sud, alla Serra Algarvia.portogallo

L’incontro con don Luis

3 2«Avevamo trovato dei riferimenti interessanti a questo villaggio, dove nell’800 gli abitanti accoglievano i forestieri offrendo un’acquavite fatta con i fichi – raccontano i Buono – Incredibile come con appena dodici famiglie residenti ci fossero nove distillerie. Non poteva che essere una meta utile per quello che cercavamo». La Serra, non lontana dal mare, si era presentata magnifica con i suoi fitti boschi. Nel villaggio, quasi spopolato, erano scomparse anche ben otto distillerie. Nel portare avanti l’antica tradizione, resisteva solo don Luis, con una produzione riservata a pochi clienti.

«Per noi è stato un incontro decisivo – spiega Anna – Ha capito cosa pensavamo di fare e ci ha mostrato la sua riserva di liquori, i suoi alambicchi a legna fatti a mano, secondo una competenza tramandata per generazioni, come tutto il processo di distillazione. Ormai avanti con gli anni, aspettava l’occasione per valorizzare il lavoro di una vita e ci siamo trovati subito a nostro agio, sicuri che fosse lì l’inizio del nostro cammino».

Il “segreto” di don Luis era la particolarità a cui Alessandro pensava da tempo: un distillato ottenuto dalla fermentazione del fico come base alcolica. «Lui mi ha insegnato tutte le fasi della lavorazione dei fichi, che è delicatissima, perché è un frutto che si deteriora facilmente sia fresco che secco. E sempre da Luis ho appreso le tecniche della distillazione, tramandate da secoli nel loro paese. Per questo nel 2016, quando ci siamo sposati, è nato il progetto Distillerie Aragonesi, per individuare realtà custodi di tradizioni antiche e rappresentative di un territorio che rischiano di scomparire e per diffondere la conoscenza dei loro prodotti, che è il modo per tenerli vivi e tramandarli nel tempo».interni

L’inizio di Distillerie Aragonesi con il liquore di fichi

Il liquore di fichi di don Luis meritava di essere conosciuto ben oltre il villaggio e la regione d’origine. Anna e Alessandro ne hanno esaltato il valore e l’identità dandogli un nome, Figaro, e disegnando un’etichetta e una bottiglia semplici ed eleganti. Poi, si sono dati da fare per presentarlo in Europa. «Abbiamo individuato i migliori alberghi, ristoranti e bar al top – ricorda Anna con un sorriso - e siamo andati di persona a incontrare i titolari proponendoci con grande semplicità, ma molto determinati, perché sapevamo di avere un prodotto di altissima qualità e con una storia. Abbiamo trovato una grande disponibilità all’ascolto e poi un grande interesse, subito dopo le degustazioni. Il nostro Figaro, unico e prodotto con grande passione da don Luis, è oggi presente in una quindicina di ristoranti stellati, nei bar dei più grandi alberghi in Italia, Inghilterra e Portogallo. E continuiamo a lavorare per farlo conoscere».

1DEF2Al capitolo di Figaro se ne sono aggiunti altri. «Dopo l’incontro con Luis – sottolinea Alessandro – non potevamo non chiederci quante altre di quelle piccole, preziose realtà esistessero nell’area mediterranea e fossero sul punto di perdersi per sempre. La nostra ricerca è orientata a questo, sostenuta dal patrimonio culturale che ci appartiene per la nostra origine e che riconosciamo in tante altre aree del Mediterraneo, pur avendo ognuna le proprie particolarità».

Ė un progetto dedicato al Mediterraneo, al suo clima, alle sue tradizioni contadine, ai suoi aromi e sapori, Distillerie Aragonesi. Quella matrice comune che Anna e Alessandro avevano già percepito davanti alla distesa di aranceti punteggiati da fichi e carrubi incontrata in Algarve. Come non ripensare ai pomi color arancio, ai fichi, ai sempre più rari carrubi delle terre ischitane? «Finchè non ho lasciato Ischia per lo studio – dice Alessandro – ho passato tanto tempo con i nonni, sono cresciuto con loro. Alla nonna materna, Maddalena Pisani, di Casamicciola, devo gran parte del bagaglio culturale familiare che ho portato in  Distillerie. Tanti racconti, che al momento ascoltavo distrattamente, mi sono tornati in mente quando abbiamo intrapreso questo percorso».10 Figaro Alambicco

La distillazione nel palazzo antico di Ischia Ponte

3L’idea di tornare a Ischia Anna e Alessandro l’avevano sempre avuta. E, dopo gli anni all’estero, è stato proprio il nuovo progetto di lavoro e di vita a riportarceli. L’impegno per recuperare distillati tradizionali, per dare un futuro ad antichi saperi, non poteva trascurare la terra d’origine. «Anche qui a Ischia si distillava, a livello domestico – spiega Alessandro – ma poi quelle conoscenze sono andate perdute, come la capacità di costruire alambicchi seppur rudimentali. Considerata la grande produzione di vino, si usava quello come base alcolica per le infusioni. Ed è quello che ho scelto di fare anch’io: usare il vino di qualità per distillare l’alcool».

Oltre a cercare e valorizzare produzioni rare e di nicchia di altri, infatti, Alessandro ha deciso di mettere a frutto quanto appreso negli anni, anche grazie a don Luis, e di dedicarsi personalmente alla rinascita della   distillazione sull’isola. E a sottolineare il legame culturale con il territorio e la diversità del suo progetto, con Anna ha scelto di impiantare l’attività nel borgo antico di Ischia Ponte, dove un tempo fiorivano anche le attività artigianali.Così, l’ampio locale di uno degli edifici settecenteschi costruiti sul lato del mare, sui terreni che al tempo appartenevano al vicino convento degli Agostiniani, è diventato il cuore di Distillerie Aragonesi.Un progetto unico di recupero del patrimonio materiale e di quello immateriale rappresentato dalla cultura contadina dell’isola.

distjpgL’esperienza professionale di Anna è stata decisiva per creare un ambiente luminoso, accogliente, curatissimo in ogni particolare nella sua semplicità. Dominato da un grande alambicco di rame, ben visibile anche dalla strada, che la collocazione centrale indica come il fulcro dell’attività. Sarà lì che a breve avverrà la parte più delicata e caratteristica della distillazione del vino. In piena vista dei visitatori e di chi osserverà dall’esterno. Le grandi anfore di terracotta in cui avverrà la fermentazione di frutti e foglie raccontano la storia vinicola di Ischia di ventinove secoli. E poi c’è la parte interrata, la più pregevole, scoperta a lavori iniziati: la cisterna scavata nella roccia che garantiva anticamente la riserva di acqua piovana ai magazzini e alle abitazioni soprastanti. Anna l’ha restaurata con rigore e passione: «Sarà qui, in condizioni naturali ideali, che avverrà l’invecchiamento dei nostri distillati, stiamo facendo adesso una ricerca sulle botti e i legni per trovare la soluzione migliore».

Carrubi e Purtualli

7.jpgIntanto, a Figaro, si sono aggiunte le novità frutto dello studio e della competenza di Alessandro. Tutte legate a frutti antichi. Come il carrubo, «che – dice lui – si stava perdendo, nonostante sia un frutto dalle importanti proprietà e caratteristiche. Stiamo facendo una mappatura delle piante, per scegliere quelle migliori da cui prendere frutti e foglie per i nostri distillati». Al carrubo sono dedicati due liquori: ‘On Carrubo, un amaro di carruba con sentori fortemente evocativi di agrumi, mele annurche e radici di genziana, e ‘a Sciuscella, nome in dialetto del frutto, un delicato liquore che recupera l’antica pratica della caulara, ovvero la tradizione di “arricchire” il mosto con l’apporto zuccherino di carrube, mele cotogne o fichi. 

Poi c’è Frescura, liquore fresco ottenuto da agrumi, foglie di fico ed erbe mediterranee. I due giovani innamorati che lo degustano all’ombra di un albero con Sant’Angelo sullo sfondo sono la poetica essenza di ciò che questa creazione alcolica vuole trasmettere. «On Carrubo e Sciuscella, così come Frescura - spiega Alessandro - sono infusi in un distillato di vino. Ciò vuol dire che l'alcol è estratto dal vino d'uva, anziché dai cereali, per distillazione. Oltre ad essere un passaggio fondamentale per garantire la qualità del liquore e la sua artigianalità, comprendemmo che era questa la reale origine dei liquori ischitani, la radice culturale, storica e gastronomica da cui dovevamo ripartire, insieme alla carruba»84

Dulcis in fundo, c’è Purtuall’, un vino di arancia fortificato, che è omaggio all’isola d’Ischia e al Portogallo da cui tutto è iniziato. Se le arance dolci in napoletano si chiamano “purtualli” e simili sono le definizioni nella maggioranza dei dialetti italiani e in tante lingue dei Paesi mediterranei è proprio perché i Portoghesi nel XV secolo avevano l’esclusiva dei traffici mercantili con l’Oriente e, dunque, dell’importazione e commercializzazione nel Mediterraneo anche delle arance, allora un frutto esotico di terre lontane. Poi, sono diventate una coltivazione comune in tutto il Mare Nostrum, parte integrante del nostro paesaggio, della nostra cultura contadina e gastronomica, ma a lungo furono le navi portoghesi a rifornire di pomi arancioni anche la Napoli aragonese. 

Sulla parete di destra dell’ambiente di Distillerie Aragonesi, a Ischia Ponte, un bel dipinto di Marco Cecchi rappresenta il Castello e la costa ischitana con in primo piano dei velieri portoghesi che trasportano nelle stive il profumato carico di agrumi. Sulla parete di fronte, campeggia dello stesso artista una mappa del bacino mediterraneo, l’area di ricerca dei distillati e delle loro tradizioni da riscoprire e salvare. La “missione” di Distillerie Aragonesi sintetizzata dall’arte. Il resto, la parte fondamentale, la fanno la passione, l’entusiasmo e la preparazione di due giovani convinti che il futuro e il nuovo non possano prescindere dal tener vive le radici della storia dei territori e del passato delle comunità.

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